Cultura & Attualità
Corruzione in Italia e nel mondo
Messaggio del 01-12-2011 alle ore 12:29:20
Al 69esimo posto, allo stesso livello del Ghana (senza offesa per il Ghana…), dopo l’Arabia Saudita, undici postazioni prima della Grecia, il che permette all’Italia di non essere l’ultimo Paese dell’eurozona nella classifica annuale della corruzione redatta da Transparency International, organizzazione indipendente con sede a Berlino. Una classifica che comprende 183 nazioni.
Chi c’è in cima? La Nuova Zelanda, accanto alla Danimarca e alla Finlandia. All’ultimo posto invece la Corea del Nord, con la Somalia, precedute da Afghanistan e Myanmar. Tra gli ultimi posti anche la Libia.
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Al 69esimo posto, allo stesso livello del Ghana (senza offesa per il Ghana…), dopo l’Arabia Saudita, undici postazioni prima della Grecia, il che permette all’Italia di non essere l’ultimo Paese dell’eurozona nella classifica annuale della corruzione redatta da Transparency International, organizzazione indipendente con sede a Berlino. Una classifica che comprende 183 nazioni.
Chi c’è in cima? La Nuova Zelanda, accanto alla Danimarca e alla Finlandia. All’ultimo posto invece la Corea del Nord, con la Somalia, precedute da Afghanistan e Myanmar. Tra gli ultimi posti anche la Libia.
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Messaggio del 01-12-2011 alle ore 13:33:39
Non a caso in Italia c'era il più potente partito comunista occidentale.
Non a caso in Italia c'era il più potente partito comunista occidentale.
Messaggio del 01-12-2011 alle ore 15:19:11
parli del partito di vendola? o quello di diliberto? o del PD?
domanda non retorica nè sarcastica.
e potente in che senso? rispetto a cosa?
parli del partito di vendola? o quello di diliberto? o del PD?
domanda non retorica nè sarcastica.
e potente in che senso? rispetto a cosa?
Messaggio del 01-12-2011 alle ore 16:28:17
corea del nord? chi è che corrompe e chi è che viene concusso in corea del nord?
corea del nord? chi è che corrompe e chi è che viene concusso in corea del nord?
Messaggio del 01-12-2011 alle ore 18:34:50
Parlo del PCI, potente per finanziamenti dalla Patria Russa e per penetrazione sociale e politica.
Parlo del PCI, potente per finanziamenti dalla Patria Russa e per penetrazione sociale e politica.
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 00:20:49
Penetrazione che,visto l'astio,hai subito........
Penetrazione che,visto l'astio,hai subito........
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 04:16:49
quella di transparensi internescional è una classifica di corruzione "percepita";
tra i primi dieci paesi ci sono otto monarchie... evidentemente i sudditi "percepiscono" poco
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Editato da Hafis il 02/12/2011 alle 04:17:37
quella di transparensi internescional è una classifica di corruzione "percepita";
tra i primi dieci paesi ci sono otto monarchie... evidentemente i sudditi "percepiscono" poco
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Editato da Hafis il 02/12/2011 alle 04:17:37
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 04:18:09
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 09:10:06
Non scrivere queste cose, qui è pieno di froci risentiti, rischi di suscitarlo tu l'astio.
Non scrivere queste cose, qui è pieno di froci risentiti, rischi di suscitarlo tu l'astio.
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 09:28:18
Oggi anche il Corriere online scrive, con Antonio Stella, a proposito della corruzione italiana.
Giu' e giu': trentasei posizioni perse in 15 anni: fossimo restrocessi cosi' nel calcio, apriti cielo!
Ma è peggio, molto peggio: l’ultima classifica di Transparency International, che misura la percezione della corruzione, ci vede scivolare al 69º posto. Alla pari con le isole Samoa, la Macedonia, il Ghana. Alle spalle di Paesi come Namibia, Ruanda, Portorico… Non è solo una umiliazione: è un problema economico. Perché dovrebbero investire da noi? Capiamoci: Transparency non è la Bibbia. E non è detto affatto che l’Italia sia davvero più corrotta di Cuba, della Turchia o della Lettonia. Diciamo di più: è lecito dubitarne. Ma vale per questa come per le classifiche internazionali sulle nostre università, drammaticamente staccate dalle posizioni di testa. Ammesso che le graduatorie, fondate sulla percezione degli operatori economici o dei docenti universitari, siano con noi punitive, segnalano un guaio molto grave: godiamo di una pessima reputazione.
La stessa serie storica della hit parade dei Paesi meno corrotti elaborata da Transparency dice tutto. Le prime dieci nazioni virtuose di oggi (in ordine: Nuova Zelanda, Danimarca, Finlandia, Svezia, Singapore, Norvegia, Olanda, Australia, Svizzera e Canada) sono esattamente le stesse (chi un po’ più avanti, chi un po’ più indietro) del 1995. E un po’ tutta la classifica è piuttosto stabile. Solo noi andiamo spaventosamente a ritroso: eravamo quindici anni fa, mentre si svolgevano molti processi per Tangentopoli, al 33˚ posto. Siamo scesi dieci anni dopo, nel 2005, al 40˚, nel 2008 al 55˚, nel 2009 al 63˚, nel 2010 al 67˚. E quando pareva che già fossimo caduti così in basso da non poter precipitare ancora siamo sprofondati quest’anno al 69˚ posto. Una sorpresa? Per niente. Tanto che un anno e mezzo fa, nella scia di una serie di scandali, il governo Berlusconi che aveva sostanzialmente svuotato tra le polemiche l’Alto commissariato per la lotta alla corruzione voluto dall’Onu, si paracadutò a varare una legge anticorruzione salutata, tra squilli di tromba e rullare di tamburi, come la più severa mai varata a memoria d’uomo. «È una stretta decisiva e definitiva contro un malcostume che talvolta ha inquinato l’amministrazione della cosa pubblica, dello Stato, il Parlamento e la politica stessa», tuonò Maurizio Gasparri. «Abbiamo dimostrato che la nostra forza politica, a differenza del passato, nella lotta alla corruzione vuole essere inflessibile», confermò Ignazio La Russa. Sì, ciao. Sparati nel firmamento i fuochi artificiali, hanno riposto tutto in un cassetto.
Anche i clamorosi arresti ai vertici della Regione Lombardia non hanno fatto che confermare ieri la sensazione di una poltiglia appiccicosa e ammorbante. La stessa descritta l’anno scorso da Beppe Pisanu che, forte dell’esperienza accumulata al Viminale, spiegò in un’intervista al Corriere che no, la situazione non era per niente paragonabile a quella precedente allo scossone di Mani Pulite: «Per certi versi siamo oltre. Allora crollò il sistema del finanziamento dei partiti. Oggi è la coesione sociale, è la stessa unità nazionale a essere in discussione, al punto da venire apertamente negata anche da forze di governo. Si chiude l’orizzonte dell’interesse generale e si aprono le cateratte dell’interesse privato, dell’arricchimento personale, della corruzione dilagante ». Ricordiamo com’era, prima di Tangentopoli? Nel solo 1991 che precedette il cataclisma, disse uno studio del centro Einaudi di Torino, il «presumibile ammontare dei maggiori costi sostenuti dallo Stato per effetto della discrezionalità della decisione politica», cioè delle bustarelle, era stato tra i 4.500 e 6.500 miliardi. In un solo anno. Per non dire del decennio precedente, quando i partiti e i tangentari più insaziabili si erano impossessati «da un minimo di 46 mila a un massimo (più probabile) di 110 mila miliardi ». Una somma enorme. Che aveva inciso sul debito pubblico: «Sui circa 150 mila miliardi di deficit 1991 la quota imputabile alle tangenti dell’anno e agli interessi sul debito cumulato a causa delle tangenti dal 1980 in poi equivale a 15-25 mila miliardi, ossia dal 10 a quasi il 15% del deficit complessivo». Un settimo, forse un sesto. Pareva che quell’ondata che spazzò via la Prima Repubblica dovesse essere di monito. Errore.
Lo ha dimostrato con i suoi studi Piercamillo Davigo, uno dei protagonisti di quella stagione: «È tutto come prima, peggio di prima». Lo ha confermato ufficialmente il procuratore generale della Corte dei conti, Furio Pasqualucci, nella relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2008: «Il fenomeno della corruzione all’interno della Pubblica amministrazione è talmente rilevante e gravido di conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal servizio Anticorruzione e trasparenza del ministero della Funzione pubblica, nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini». Sessanta miliardi: ci risparmieremmo una finanziaria di lacrime e sangue. Non è solo una questione di moralità. C’è anche quella. E pesa. Ma non è solo una questione di moralità. Lo stesso Benedetto Croce, in «Etica e politica », scriveva nel 1930: «È strano che, laddove nessuno — quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica — chiede un onest’uomo, ma tutti chiedono e cercano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina, nelle cose della politica si chiedano invece non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura. Ma che cos’è dunque l’onestà politica? L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico è la sua capacità di medico, che non rovina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze».
Qual è il guaio? Che non abbiamo avuto in questi anni né l’una (la capacità politica) né l’altra (l’onestà) e paghiamo per questo un prezzo spropositato. Nella paralisi dei cantieri delle infrastrutture, che da noi costano immensamente più che negli altri Paesi europei. Nei ritardi sul versante delle riforme indispensabili, che sottrarrebbero alla cattiva politica il potere di interdizione e di ricatto. Nel crescente allargamento della forbice tra Nord e Sud. Nella montante sfiducia verso di noi non solo dei bucanieri della speculazione internazionale ma anche degli investitori tradizionali. Basti rileggere il rapporto Svimez del 2007: «Negli anni 2000-2005 l’Italia ha ricevuto il 4,2% degli investimenti esteri in entrata nell’Unione Europea, meno di un terzo di quelli di Germania, Gran Bretagna e Francia e poco più della metà di Olanda e Spagna». Quanto alle Regioni del Mezzogiorno, «hanno ricevuto nel 2006 appena lo 0,66% degli investimenti esteri entrati in Italia». E da allora, con la crisi, le cose sono addirittura peggiorate. A danno ulteriore del Sud, individuato a torto o a ragione come un’area in cui, all’arretratezza delle infrastrutture si somma il costo di una politica esageratamente ingorda. Lo conferma il dossier 2001 sul «grado di multinazionalità», cioè il rapporto tra addetti in imprese italiane di proprietà estera e addetti complessivi: «Centro- Nord 6,2%, Mezzogiorno 1,2%, Calabria 0,4%, Sicilia 0,3%». E si torna alla domanda iniziale: perché mai uno straniero dovrebbe venire a investire qui, per usare una vecchia battuta berlusconiana, con la bustarella in bocca?
Gian Antonio Stella
2 dicembre 2011 | 9:07
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Editato da Thompson il 02/12/2011 alle 09:29:49
Oggi anche il Corriere online scrive, con Antonio Stella, a proposito della corruzione italiana.
Giu' e giu': trentasei posizioni perse in 15 anni: fossimo restrocessi cosi' nel calcio, apriti cielo!
Ma è peggio, molto peggio: l’ultima classifica di Transparency International, che misura la percezione della corruzione, ci vede scivolare al 69º posto. Alla pari con le isole Samoa, la Macedonia, il Ghana. Alle spalle di Paesi come Namibia, Ruanda, Portorico… Non è solo una umiliazione: è un problema economico. Perché dovrebbero investire da noi? Capiamoci: Transparency non è la Bibbia. E non è detto affatto che l’Italia sia davvero più corrotta di Cuba, della Turchia o della Lettonia. Diciamo di più: è lecito dubitarne. Ma vale per questa come per le classifiche internazionali sulle nostre università, drammaticamente staccate dalle posizioni di testa. Ammesso che le graduatorie, fondate sulla percezione degli operatori economici o dei docenti universitari, siano con noi punitive, segnalano un guaio molto grave: godiamo di una pessima reputazione.
La stessa serie storica della hit parade dei Paesi meno corrotti elaborata da Transparency dice tutto. Le prime dieci nazioni virtuose di oggi (in ordine: Nuova Zelanda, Danimarca, Finlandia, Svezia, Singapore, Norvegia, Olanda, Australia, Svizzera e Canada) sono esattamente le stesse (chi un po’ più avanti, chi un po’ più indietro) del 1995. E un po’ tutta la classifica è piuttosto stabile. Solo noi andiamo spaventosamente a ritroso: eravamo quindici anni fa, mentre si svolgevano molti processi per Tangentopoli, al 33˚ posto. Siamo scesi dieci anni dopo, nel 2005, al 40˚, nel 2008 al 55˚, nel 2009 al 63˚, nel 2010 al 67˚. E quando pareva che già fossimo caduti così in basso da non poter precipitare ancora siamo sprofondati quest’anno al 69˚ posto. Una sorpresa? Per niente. Tanto che un anno e mezzo fa, nella scia di una serie di scandali, il governo Berlusconi che aveva sostanzialmente svuotato tra le polemiche l’Alto commissariato per la lotta alla corruzione voluto dall’Onu, si paracadutò a varare una legge anticorruzione salutata, tra squilli di tromba e rullare di tamburi, come la più severa mai varata a memoria d’uomo. «È una stretta decisiva e definitiva contro un malcostume che talvolta ha inquinato l’amministrazione della cosa pubblica, dello Stato, il Parlamento e la politica stessa», tuonò Maurizio Gasparri. «Abbiamo dimostrato che la nostra forza politica, a differenza del passato, nella lotta alla corruzione vuole essere inflessibile», confermò Ignazio La Russa. Sì, ciao. Sparati nel firmamento i fuochi artificiali, hanno riposto tutto in un cassetto.
Anche i clamorosi arresti ai vertici della Regione Lombardia non hanno fatto che confermare ieri la sensazione di una poltiglia appiccicosa e ammorbante. La stessa descritta l’anno scorso da Beppe Pisanu che, forte dell’esperienza accumulata al Viminale, spiegò in un’intervista al Corriere che no, la situazione non era per niente paragonabile a quella precedente allo scossone di Mani Pulite: «Per certi versi siamo oltre. Allora crollò il sistema del finanziamento dei partiti. Oggi è la coesione sociale, è la stessa unità nazionale a essere in discussione, al punto da venire apertamente negata anche da forze di governo. Si chiude l’orizzonte dell’interesse generale e si aprono le cateratte dell’interesse privato, dell’arricchimento personale, della corruzione dilagante ». Ricordiamo com’era, prima di Tangentopoli? Nel solo 1991 che precedette il cataclisma, disse uno studio del centro Einaudi di Torino, il «presumibile ammontare dei maggiori costi sostenuti dallo Stato per effetto della discrezionalità della decisione politica», cioè delle bustarelle, era stato tra i 4.500 e 6.500 miliardi. In un solo anno. Per non dire del decennio precedente, quando i partiti e i tangentari più insaziabili si erano impossessati «da un minimo di 46 mila a un massimo (più probabile) di 110 mila miliardi ». Una somma enorme. Che aveva inciso sul debito pubblico: «Sui circa 150 mila miliardi di deficit 1991 la quota imputabile alle tangenti dell’anno e agli interessi sul debito cumulato a causa delle tangenti dal 1980 in poi equivale a 15-25 mila miliardi, ossia dal 10 a quasi il 15% del deficit complessivo». Un settimo, forse un sesto. Pareva che quell’ondata che spazzò via la Prima Repubblica dovesse essere di monito. Errore.
Lo ha dimostrato con i suoi studi Piercamillo Davigo, uno dei protagonisti di quella stagione: «È tutto come prima, peggio di prima». Lo ha confermato ufficialmente il procuratore generale della Corte dei conti, Furio Pasqualucci, nella relazione sul rendiconto generale dello Stato per il 2008: «Il fenomeno della corruzione all’interno della Pubblica amministrazione è talmente rilevante e gravido di conseguenze in tempi di crisi come quelli attuali da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese anche oltre le stime effettuate dal servizio Anticorruzione e trasparenza del ministero della Funzione pubblica, nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini». Sessanta miliardi: ci risparmieremmo una finanziaria di lacrime e sangue. Non è solo una questione di moralità. C’è anche quella. E pesa. Ma non è solo una questione di moralità. Lo stesso Benedetto Croce, in «Etica e politica », scriveva nel 1930: «È strano che, laddove nessuno — quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica — chiede un onest’uomo, ma tutti chiedono e cercano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina, nelle cose della politica si chiedano invece non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura. Ma che cos’è dunque l’onestà politica? L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico è la sua capacità di medico, che non rovina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze».
Qual è il guaio? Che non abbiamo avuto in questi anni né l’una (la capacità politica) né l’altra (l’onestà) e paghiamo per questo un prezzo spropositato. Nella paralisi dei cantieri delle infrastrutture, che da noi costano immensamente più che negli altri Paesi europei. Nei ritardi sul versante delle riforme indispensabili, che sottrarrebbero alla cattiva politica il potere di interdizione e di ricatto. Nel crescente allargamento della forbice tra Nord e Sud. Nella montante sfiducia verso di noi non solo dei bucanieri della speculazione internazionale ma anche degli investitori tradizionali. Basti rileggere il rapporto Svimez del 2007: «Negli anni 2000-2005 l’Italia ha ricevuto il 4,2% degli investimenti esteri in entrata nell’Unione Europea, meno di un terzo di quelli di Germania, Gran Bretagna e Francia e poco più della metà di Olanda e Spagna». Quanto alle Regioni del Mezzogiorno, «hanno ricevuto nel 2006 appena lo 0,66% degli investimenti esteri entrati in Italia». E da allora, con la crisi, le cose sono addirittura peggiorate. A danno ulteriore del Sud, individuato a torto o a ragione come un’area in cui, all’arretratezza delle infrastrutture si somma il costo di una politica esageratamente ingorda. Lo conferma il dossier 2001 sul «grado di multinazionalità», cioè il rapporto tra addetti in imprese italiane di proprietà estera e addetti complessivi: «Centro- Nord 6,2%, Mezzogiorno 1,2%, Calabria 0,4%, Sicilia 0,3%». E si torna alla domanda iniziale: perché mai uno straniero dovrebbe venire a investire qui, per usare una vecchia battuta berlusconiana, con la bustarella in bocca?
Gian Antonio Stella
2 dicembre 2011 | 9:07
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Editato da Thompson il 02/12/2011 alle 09:29:49
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 10:49:16
Secondo me hai fatto una cosa che non avresti potuto fare
Secondo me hai fatto una cosa che non avresti potuto fare
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 10:53:24
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 11:15:15
ah quindi il PCI...
ma non esiste più da na freca....
mah
ah quindi il PCI...
ma non esiste più da na freca....
mah
Messaggio del 02-12-2011 alle ore 15:43:53
allo snai accettano scommesse sul primo che fa commenti sulla fonte citata da animamundi!!!
ah, l'opzioje adonai non l'hanno manco quotata!!!
allo snai accettano scommesse sul primo che fa commenti sulla fonte citata da animamundi!!!
ah, l'opzioje adonai non l'hanno manco quotata!!!
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 13:46:21
Perché ci vogliono almeno 50 anni di repubblica per corrompere un popolo
Perché ci vogliono almeno 50 anni di repubblica per corrompere un popolo
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 14:08:47
Ne bastano meno di 20 se pero' al popolo gli si fa' un corso accelerato.
Ne bastano meno di 20 se pero' al popolo gli si fa' un corso accelerato.
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 14:12:51
e già... invece MONARCHI e LORD sono incorruttibili...
e già... invece MONARCHI e LORD sono incorruttibili...
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 14:22:19
Hafis, questa è come la storia delle pezze ar culo: una persona qualunque le porta perché è un morto di fame, un ricco perché è eccentrico
Hafis, questa è come la storia delle pezze ar culo: una persona qualunque le porta perché è un morto di fame, un ricco perché è eccentrico
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 14:22:32
quess è da nobel
quess è da nobel
Messaggio del 03-12-2011 alle ore 14:52:19
Il decoro è una virtù
Il decoro è una virtù
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