Cultura & Attualità
FORA D'I BALL
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 18:21:06
Non si fermano gli arrivi a Lampedusa. Sale a 6200 il numero degli immigrati. Il sindaco: "E' emergenza cibo". L'ispettore della Salute: "L'isola a rischio epidemie. Va svuotata". Bossi: "Fora d'i ball... mandateli a casa. Intervenga l'Ue". Napolitano: "Situazione inaccettabile. Le regioni collaborino". Atteso il via libera dal Cdm al piano per evacuare gli immigrati: in arrivo sei navi. Pronto anche un piano alternativo per il "respingimento di massa
Non si fermano gli arrivi a Lampedusa. Sale a 6200 il numero degli immigrati. Il sindaco: "E' emergenza cibo". L'ispettore della Salute: "L'isola a rischio epidemie. Va svuotata". Bossi: "Fora d'i ball... mandateli a casa. Intervenga l'Ue". Napolitano: "Situazione inaccettabile. Le regioni collaborino". Atteso il via libera dal Cdm al piano per evacuare gli immigrati: in arrivo sei navi. Pronto anche un piano alternativo per il "respingimento di massa
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 18:37:25
si tanto se portno le navi per svuotare l'isola tempo 1 settimana e si riempie di nuovo..l'unica soluzione è il blocco navale...diversamnete tra 1 anno avremo 1 mil di clandestini
si tanto se portno le navi per svuotare l'isola tempo 1 settimana e si riempie di nuovo..l'unica soluzione è il blocco navale...diversamnete tra 1 anno avremo 1 mil di clandestini
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 18:51:47
me ne prendo io 1000 se ti toglie lui con tutti i suoi verdi ,fuori dalle balle
me ne prendo io 1000 se ti toglie lui con tutti i suoi verdi ,fuori dalle balle
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 18:53:56
uhmmm non ci credo..facile a dirsi..
mo ne dovrebbero arrivare a bizzeffe nel nuorese, ohi ohi ohi...speriamo bene...
uhmmm non ci credo..facile a dirsi..
mo ne dovrebbero arrivare a bizzeffe nel nuorese, ohi ohi ohi...speriamo bene...
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:08:54
MIKE tutti cilloni super 25......
MIKE tutti cilloni super 25......
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:12:22
no luca, intanto non è garantito che siano cosi, poi qui da noi hanno da competere con i sardi che non hanno nulla da invidiare..anzi.. no, sei fuori pista
la pista gliela danno i balentes se non fanno i bravini
no luca, intanto non è garantito che siano cosi, poi qui da noi hanno da competere con i sardi che non hanno nulla da invidiare..anzi.. no, sei fuori pista
la pista gliela danno i balentes se non fanno i bravini
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:13:29
però magari saranno apprezzati meglio in abruzzo
media 7 cm (in estensione attiva)
però magari saranno apprezzati meglio in abruzzo
media 7 cm (in estensione attiva)
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:13:39
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:14:57
si 7 cm....di diametro
si 7 cm....di diametro
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:22:45
si certo come nooooooooooooooooooo
si certo come nooooooooooooooooooo
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:23:32
guarda che ho scritto abruzzo non senegal
:rotfl.
guarda che ho scritto abruzzo non senegal
:rotfl.
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 19:55:30
sono un minorenne e sto leggendo le vostre porcate
sono un minorenne e sto leggendo le vostre porcate
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 20:00:23
quali porcate?
quali porcate?
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 20:48:15
Respingimento di massa? Ma parliamo di "semplici" clandestini oppure di rifugiati che scappano da un paese in guerra? E noi cosa facciamo? Li rispediamo sotto le bombe? Ma bravi!!!!! Che poi io gia sarei contro il respingerli a prescindere se nel loro paese c'è una guerra o meno... vabbè..... continuiamo a convivere con le sparate di un semiparalitico che ha 3 milioni di voti sulla popolazione nazionale che è di 60 milioni.... ma vaffanculo!!!!
Respingimento di massa? Ma parliamo di "semplici" clandestini oppure di rifugiati che scappano da un paese in guerra? E noi cosa facciamo? Li rispediamo sotto le bombe? Ma bravi!!!!! Che poi io gia sarei contro il respingerli a prescindere se nel loro paese c'è una guerra o meno... vabbè..... continuiamo a convivere con le sparate di un semiparalitico che ha 3 milioni di voti sulla popolazione nazionale che è di 60 milioni.... ma vaffanculo!!!!
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 21:00:09
Italiani specchiatevi
Che questa possa essere una lezione per coloro che lasciano la sporcizia per strada il sabato sera
Italiani specchiatevi
Che questa possa essere una lezione per coloro che lasciano la sporcizia per strada il sabato sera
Messaggio del 29-03-2011 alle ore 22:09:14
sporcizia il sabato sera? no jena non hai idea..cagliari corso principale della città..ogni sabato notte fioriere rovesciate piante sradicate vetri rotti bottiglie vomito...la domenica mattina è il risveglio su un campo di battaglia
se invece ci fossero cc con il lanciafiamme a scaldare un po' di chiappe fannullone...
sporcizia il sabato sera? no jena non hai idea..cagliari corso principale della città..ogni sabato notte fioriere rovesciate piante sradicate vetri rotti bottiglie vomito...la domenica mattina è il risveglio su un campo di battaglia
se invece ci fossero cc con il lanciafiamme a scaldare un po' di chiappe fannullone...
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 01:57:22
"eccoci i bravi ragazzi"
"eccoci i bravi ragazzi"
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 17:01:25
bè..tunisini bravi ragazzi..uhmmmm uhmmmmmmmmmmm
bè..tunisini bravi ragazzi..uhmmmm uhmmmmmmmmmmm
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 17:04:52
ci stanno invadendo, cosi come aveva previsto oriana fallaci
sarà..ma non piace per niente questa pulizia delle ns strade, a questo punto
preferisco che mi sporchino il corso a cagliari il sabato sera
tanto la mattina dopo passa regolarmente la nettezza urbana..
grazie tunisini ma facciamo da soli..
tenc iu
ci stanno invadendo, cosi come aveva previsto oriana fallaci
sarà..ma non piace per niente questa pulizia delle ns strade, a questo punto
preferisco che mi sporchino il corso a cagliari il sabato sera
tanto la mattina dopo passa regolarmente la nettezza urbana..
grazie tunisini ma facciamo da soli..
tenc iu
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:09:10
Se avessimo una politica seria di prima accoglienza, rimpatrio e/o rifugio politico non sarebbe questa la situazione.
Maroni ha rotto i coglioni in tv e giornali per 3 settimane con questa ondata in arrivo. Bene, giusto, bravo, bis. E pur sapendo (dato che manifestava ai giornalai-giornalisti dei dati certi) ciò, come ha preparato Lampedusa allo sbarco? Con 5 bagni chimici, 3 volontari a registrare gli arrivi e 4 medici/infermieri. Un genio logistico-organizzativo insomma, come preparare un buffet con 10€ di tartine per un pranzo di nozze di 150 persone.
Quindi, dato che a pensar male si fa bene, quando comodo fa al potere questa situazione di malcontento generale, di disagio totale, ecc. di una banda di abbronzati (per usare un termine a lui grato e consono) in cui intervenire poi a mo' di messia che libera le terre in 48 ore?
Tanta roba...
E comunque Mikè, io ad esempio caccerei tutti i non isolani doc dalla Sardegna, continentali che rubano il pane ai figli dell'isola, maledetti. Che ne pensi?
Se avessimo una politica seria di prima accoglienza, rimpatrio e/o rifugio politico non sarebbe questa la situazione.
Maroni ha rotto i coglioni in tv e giornali per 3 settimane con questa ondata in arrivo. Bene, giusto, bravo, bis. E pur sapendo (dato che manifestava ai giornalai-giornalisti dei dati certi) ciò, come ha preparato Lampedusa allo sbarco? Con 5 bagni chimici, 3 volontari a registrare gli arrivi e 4 medici/infermieri. Un genio logistico-organizzativo insomma, come preparare un buffet con 10€ di tartine per un pranzo di nozze di 150 persone.
Quindi, dato che a pensar male si fa bene, quando comodo fa al potere questa situazione di malcontento generale, di disagio totale, ecc. di una banda di abbronzati (per usare un termine a lui grato e consono) in cui intervenire poi a mo' di messia che libera le terre in 48 ore?
Tanta roba...
E comunque Mikè, io ad esempio caccerei tutti i non isolani doc dalla Sardegna, continentali che rubano il pane ai figli dell'isola, maledetti. Che ne pensi?
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:18:38
E agli isolani che rubano megabyte sui forum di noi continentali non ci pensi Atè????
E agli isolani che rubano megabyte sui forum di noi continentali non ci pensi Atè????
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:29:56
Vero, si chiama lanciano.it! Fora d'i ball chi è al di là di Lanciano Est (= San Vito).
Vero, si chiama lanciano.it! Fora d'i ball chi è al di là di Lanciano Est (= San Vito).
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:39:17
No no... per me pure Treglio è gia troppo est!!!!
No no... per me pure Treglio è gia troppo est!!!!
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:43:14
Lanciano est finisce alla concessionaria LANCIA/AUTOBIANCHI mitica A 112 ABARTH...... Oddio so' rimaste arrete di na' trentina d anni......
Lanciano est finisce alla concessionaria LANCIA/AUTOBIANCHI mitica A 112 ABARTH...... Oddio so' rimaste arrete di na' trentina d anni......
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 18:44:49
Ma tu Atelkin, sei dell'EST?
Ma tu Atelkin, sei dell'EST?
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 21:23:18
come bobrock me pijiess 26000 tunisini e pure mezza Libia in cambio dei leghisti fuori dall'italia.
come bobrock me pijiess 26000 tunisini e pure mezza Libia in cambio dei leghisti fuori dall'italia.
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 21:34:09
in verità amici miei (scusate se vi chiamo cosi pur non essendo di lanciano ) ma se verrete in sardegna in vacanza (ve lo auguro) vi capiterà di leggere:
a fora sos continentales
a fora sos nieddos
a fora tottusu
praticamente tutti fuori dale bale
sul muro principale del porto di la maddalena invece, piu progredito, ci sarà certamente ancora la scritta in inglese YANKEE GO HOME e questo era il benvenuto ai militari americani appena arrivati
in verità amici miei (scusate se vi chiamo cosi pur non essendo di lanciano ) ma se verrete in sardegna in vacanza (ve lo auguro) vi capiterà di leggere:
a fora sos continentales
a fora sos nieddos
a fora tottusu
praticamente tutti fuori dale bale
sul muro principale del porto di la maddalena invece, piu progredito, ci sarà certamente ancora la scritta in inglese YANKEE GO HOME e questo era il benvenuto ai militari americani appena arrivati
Messaggio del 30-03-2011 alle ore 21:40:46
LUCAAAA io l'ho avutaaa la 112 abarth andava come il vento comprata nel 1984 con 3 mila anni di cambialiiiiii che ricordiiiiiiiiiiiiiiii
LUCAAAA io l'ho avutaaa la 112 abarth andava come il vento comprata nel 1984 con 3 mila anni di cambialiiiiii che ricordiiiiiiiiiiiiiiii
Messaggio del 01-04-2011 alle ore 10:13:42
oriana fallaci ha previsto...
ci voleva l'arte
oriana fallaci ha previsto...
ci voleva l'arte
Messaggio del 01-04-2011 alle ore 11:58:17
arte? la fallaci e mica è stephen king?
arte? la fallaci e mica è stephen king?
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 07:02:50
Mikemì, la Sardegna campa di turismo... e sputa nel piatto dove mangia? Che fate, come i veneziani?
Mikemì, la Sardegna campa di turismo... e sputa nel piatto dove mangia? Che fate, come i veneziani?
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 09:08:11
Mikemio, avrei voglia d'offenderti al limite dell'insulto, ma non lo farò, penso che la cosa più offensiva sia lasciarti scrivere le tue baggianate da qui all'eternità...
Mikemio, avrei voglia d'offenderti al limite dell'insulto, ma non lo farò, penso che la cosa più offensiva sia lasciarti scrivere le tue baggianate da qui all'eternità...
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 09:40:17
MR. HOME la sardegna non campa di turismo, magariii....dal 15 luglio al 31 di agosto c'è la calata degli unni, che più che lasciare prendono e distruggono, dopodiche ci si arrangia con altre risorse perchè qua non c'è il sole dei caraibi 12 mesi all anno
RAMBLERT bravo, fai cosi, comportati da gran signore
MR. HOME la sardegna non campa di turismo, magariii....dal 15 luglio al 31 di agosto c'è la calata degli unni, che più che lasciare prendono e distruggono, dopodiche ci si arrangia con altre risorse perchè qua non c'è il sole dei caraibi 12 mesi all anno
RAMBLERT bravo, fai cosi, comportati da gran signore
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 10:11:53
Mikemi, scusa, se la Sardegna non campa di turismo... allora io sono Patro Pio!
E di che campa?
Mo l'hai detta grossa eh!
Mikemi, scusa, se la Sardegna non campa di turismo... allora io sono Patro Pio!
E di che campa?
Mo l'hai detta grossa eh!
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 10:52:45
no MR HOME è che voi CONTINENTALI guardate alla sardegna solo come luogo turistico, io ti garantisco che il turismo è pochissimo, concentrato solo in alcune zone e circoscritto ad un brevissimo periodo dell'anno.
e ne sanno qualcosa a la maddalena, l'isola piu bella del creato, che dopo la chisura della base USA che produceva un idotto costante di lavoro e denaro, con i turisti, 1 mese all'anno, sai che ci fanno..
no MR HOME è che voi CONTINENTALI guardate alla sardegna solo come luogo turistico, io ti garantisco che il turismo è pochissimo, concentrato solo in alcune zone e circoscritto ad un brevissimo periodo dell'anno.
e ne sanno qualcosa a la maddalena, l'isola piu bella del creato, che dopo la chisura della base USA che produceva un idotto costante di lavoro e denaro, con i turisti, 1 mese all'anno, sai che ci fanno..
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 16:27:53
mammina, pensi che tornerà la schiavitu e quindi anche noi avremo la servetta tunisina cosi ti riposi?
mammina, pensi che tornerà la schiavitu e quindi anche noi avremo la servetta tunisina cosi ti riposi?
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 17:23:17
amore non lo so, ma spero di di
amore non lo so, ma spero di di
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 17:59:31
Mikemì... io alla sardegna non ci guardo proprio! le mie vacanze le faccio a Lestero! Si spende di meno e si vutta alla grande!
Mikemì... io alla sardegna non ci guardo proprio! le mie vacanze le faccio a Lestero! Si spende di meno e si vutta alla grande!
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 18:06:35
Il mitico Home!
Il mitico Home!
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 19:00:31
a lestero ci vado spesso anche io che vivo in questa terra di vacanze, costa meno andare in brasile...quindi un deterrente in piu per molti..altro che vivere di turismo
az come sempre ho ragione
a lestero ci vado spesso anche io che vivo in questa terra di vacanze, costa meno andare in brasile...quindi un deterrente in piu per molti..altro che vivere di turismo
az come sempre ho ragione
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 19:23:09
ah ma quindi siete imbecilli di famiglia adesso ho capito
ah ma quindi siete imbecilli di famiglia adesso ho capito
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:08:17
Ecco brava. Visto che siete molto accoglienti con tutti, Mikemio facci un favore...ma vattn tu da le pall...e va a scrivere su Oristano.net va!
Ecco brava. Visto che siete molto accoglienti con tutti, Mikemio facci un favore...ma vattn tu da le pall...e va a scrivere su Oristano.net va!
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:19:39
Mikemio ha ragione.
cmq potete contattarmi per donazioni pro-profughi e per eventuali disponibilita di accoglienza.
nu sacc di chiacchiere....
Mikemio ha ragione.
cmq potete contattarmi per donazioni pro-profughi e per eventuali disponibilita di accoglienza.
nu sacc di chiacchiere....
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:26:53
e finalmenteeeee!!!!!
dejà-vùùùùùù
chi non è di lanciano non è gradito su lanciano.it
e il bello è che berciano e blaterano di accoglienza
io muoio
delè ti è piaciuto il formaggio?
e finalmenteeeee!!!!!
dejà-vùùùùùù
chi non è di lanciano non è gradito su lanciano.it
e il bello è che berciano e blaterano di accoglienza
io muoio
delè ti è piaciuto il formaggio?
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:31:42
sondaggio su affaritaliani
solo il 29% è favorevole all'accoglienza
la maggioranza; rispediteli in patria
nord contro sud: teneteveli voi
io proporrei di sistemarli tutti in abruzzo, terra di gente accogliente e premurosa
a differenza di tutto il resto della penisola
sondaggio su affaritaliani
solo il 29% è favorevole all'accoglienza
la maggioranza; rispediteli in patria
nord contro sud: teneteveli voi
io proporrei di sistemarli tutti in abruzzo, terra di gente accogliente e premurosa
a differenza di tutto il resto della penisola
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:32:38
in sardegna a giugno luglio e settembre si spende poco e si sta in paradiso.
in sardegna a giugno luglio e settembre si spende poco e si sta in paradiso.
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:35:54
buona parte degli utenti di lanciano.it sara ben contenta di accoglierli.
la bonta e l'altruismo abbondano.....
buona parte degli utenti di lanciano.it sara ben contenta di accoglierli.
la bonta e l'altruismo abbondano.....
Messaggio del 02-04-2011 alle ore 20:48:47
appunto. non ho dubbi
appunto. non ho dubbi
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 02:17:30
clandestini puri... in tunisia non mi risulta ci sia la guerra...
la soluzione c'è.... qualche centinaia di litri di napalm...
clandestini puri... in tunisia non mi risulta ci sia la guerra...
la soluzione c'è.... qualche centinaia di litri di napalm...
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 10:17:29
JUSTTTTTTTT come osi (cazzo) come osiiiiiiiii assassino traditore ma soprattutto razzista
senti qua:
L'UNIONE SARDA di oggi:
gli sbarchi riprendreanno e nel giro di pochi giorni ci sara da sistemare 10-20 mila persone in tendopoli da allestire in ogni regione tranne l'abruzzo
CHE CULO (ndr)
JUSTTTTTTTT come osi (cazzo) come osiiiiiiiii assassino traditore ma soprattutto razzista
senti qua:
L'UNIONE SARDA di oggi:
gli sbarchi riprendreanno e nel giro di pochi giorni ci sara da sistemare 10-20 mila persone in tendopoli da allestire in ogni regione tranne l'abruzzo
CHE CULO (ndr)
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:10:01
Ma ancora a scrivere puttanate!!!!!
Bananas, datevi una svegliata.
Non avete capito che l'unico problema di questa maggioranza e di questo governo e' quello di salvare il culo (flaccido) di Berlusconi? Degli immigrati e del resto a loro non frega assolutamente nulla.
Perche' e' chiaro che tutti questi servi hanno famiglia e senza Berlusconi non avrebbero la minima possibilita' di essere rieletti.
Immigrati, disoccupati e precari, inflazione e carovita, etc.... A questi non interessa una beneamata mazza.
Cio' su cui il parlamento sta lavorando, ormai da anni, sono leggi per vietare le intercettazioni, per abbreviare il tempo delle prescrizioni, per limitare i poteri della magistratura inquirente, per amnistiare una caterva di processi, per imporre (ill)legittimi impedimenti, per evitare il carcere agli ultrassessantenni, etc...
A me sembra che i veri razzisti, verso il popolo italiano, siete voi che avete appoggiato questa banda di criminali che ci (s)governa.
Ma ancora a scrivere puttanate!!!!!
Bananas, datevi una svegliata.
Non avete capito che l'unico problema di questa maggioranza e di questo governo e' quello di salvare il culo (flaccido) di Berlusconi? Degli immigrati e del resto a loro non frega assolutamente nulla.
Perche' e' chiaro che tutti questi servi hanno famiglia e senza Berlusconi non avrebbero la minima possibilita' di essere rieletti.
Immigrati, disoccupati e precari, inflazione e carovita, etc.... A questi non interessa una beneamata mazza.
Cio' su cui il parlamento sta lavorando, ormai da anni, sono leggi per vietare le intercettazioni, per abbreviare il tempo delle prescrizioni, per limitare i poteri della magistratura inquirente, per amnistiare una caterva di processi, per imporre (ill)legittimi impedimenti, per evitare il carcere agli ultrassessantenni, etc...
A me sembra che i veri razzisti, verso il popolo italiano, siete voi che avete appoggiato questa banda di criminali che ci (s)governa.
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:11:20
si ma tutto cio non frena la calata dei barbari
si ma tutto cio non frena la calata dei barbari
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:24:09
Si Mike ma:
quel pagliaccio di presidente (quello col culo flaccido) poteva pure evitare di andare alla tv tunisina a fare lo splendido, promettendo scuola, sanita', abitazioni a chiunque fosse venuto in Italia.
lo stesso pagliaccio poteva evitare di andare a Lampedusa a raccontare in 20 minuti tante stronzate (nobel per la pace, campi da golf, casette colorate come Portofino) e poi non fare assolutamente nulla, tanto e' vero che anche il corpo della Polizia e' incazzatissimo con lui.
e magari invece di fare proclami predisporre un piano di accoglienza e smistamento serio.
Per come la vedo io attraverso i giornali di destra e di sinistra (non guardo la tv italiana) la cosa e' stata gestita in modo pessimo tanto e'vero che un sottosegretario si e' dimesso, e centinaia di immigrati sono fuggiti dai centri di raccolta e vagano indisturbati per l'Italia.
Si Mike ma:
quel pagliaccio di presidente (quello col culo flaccido) poteva pure evitare di andare alla tv tunisina a fare lo splendido, promettendo scuola, sanita', abitazioni a chiunque fosse venuto in Italia.
lo stesso pagliaccio poteva evitare di andare a Lampedusa a raccontare in 20 minuti tante stronzate (nobel per la pace, campi da golf, casette colorate come Portofino) e poi non fare assolutamente nulla, tanto e' vero che anche il corpo della Polizia e' incazzatissimo con lui.
e magari invece di fare proclami predisporre un piano di accoglienza e smistamento serio.
Per come la vedo io attraverso i giornali di destra e di sinistra (non guardo la tv italiana) la cosa e' stata gestita in modo pessimo tanto e'vero che un sottosegretario si e' dimesso, e centinaia di immigrati sono fuggiti dai centri di raccolta e vagano indisturbati per l'Italia.
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:32:05
Thompson, ma rispondi ancora un leghista pescarese e una che corre ama Berlusconi?
lasciali vivere nella loro Matrix...aripusete lù cervelle
Thompson, ma rispondi ancora un leghista pescarese e una che corre ama Berlusconi?
lasciali vivere nella loro Matrix...aripusete lù cervelle
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:34:26
tutte le promesse sono state disattese perchè nessuno si è degnato di offrire in dono una tunisina labbrona stile ruby
a quest'ora avoglai scuolecaselavorohobby
tutte le promesse sono state disattese perchè nessuno si è degnato di offrire in dono una tunisina labbrona stile ruby
a quest'ora avoglai scuolecaselavorohobby
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:34:33
Mi sa ca ti raggione Bob!!!
E' temp pers.
Mi sa ca ti raggione Bob!!!
E' temp pers.
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:35:11
la cosa è gestita in modo pessimo: parole sante
la cosa è gestita in modo pessimo: parole sante
Messaggio del 03-04-2011 alle ore 11:36:32
ma io dico: tra loro beduini lo scambio di "doni" giovani e illibati è una cosa normale, mo arriva un italiano e lo snobbano e lo gabbano , manco una vergine hanno orfferto sti zozzi
ma io dico: tra loro beduini lo scambio di "doni" giovani e illibati è una cosa normale, mo arriva un italiano e lo snobbano e lo gabbano , manco una vergine hanno orfferto sti zozzi
Messaggio del 04-04-2011 alle ore 21:58:41
il pescarese leghista il top
la sciarpa del pescara..l'anello col leone.......
il pescarese leghista il top
la sciarpa del pescara..l'anello col leone.......
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 12:51:56
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 12:55:22
stamattina erano rimasti 600 immigrati a lampedusa...
oggi ne sono arrivati più di mille!
avoja a ffà
l'invasione dei barbari và fermata!
stamattina erano rimasti 600 immigrati a lampedusa...
oggi ne sono arrivati più di mille!
avoja a ffà
l'invasione dei barbari và fermata!
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 13:54:42
JUST ORA TI DICO LE PAROLACCE
razzista
disumano
senza cuore
figlio di immigrati ingrato (il tuo tristrisnonno andò in usa )
e visto che sei di pescara che kezz ci fjj su lanciano.it
JUST ORA TI DICO LE PAROLACCE
razzista
disumano
senza cuore
figlio di immigrati ingrato (il tuo tristrisnonno andò in usa )
e visto che sei di pescara che kezz ci fjj su lanciano.it
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 14:00:34
gli italiani che andavano in usa senza permessi li rispedivano indietro a zambate!
gli italiani che andavano in usa senza permessi li rispedivano indietro a zambate!
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 14:14:26
non prima del 1970
gli sfigati siamo stati noiiiii
ricordo perfattemente il giorno in cui al tg (all epoca primo canale rai) dissero che gli Usa avevano chiuso le frontiere e ricordo anche che pensai "che sfiga" e avevo ragione, ora per lavorare in Usa non basta chiedere la grazia a tutti i santi del paradiso, e se lavori in nero (io lo feci) se ti acchiappano spellano te e il datore di lavoro
ma questo lo sanno in pochi
GREEN CARD irraggiungibile....mitica...impossibile
la via più breve? sposa un americano e te ne danno una provvisoria per 3 anni durante i quali sei sottoposto all'inquisizione degli ufficiali dell immigrazione
non prima del 1970
gli sfigati siamo stati noiiiii
ricordo perfattemente il giorno in cui al tg (all epoca primo canale rai) dissero che gli Usa avevano chiuso le frontiere e ricordo anche che pensai "che sfiga" e avevo ragione, ora per lavorare in Usa non basta chiedere la grazia a tutti i santi del paradiso, e se lavori in nero (io lo feci) se ti acchiappano spellano te e il datore di lavoro
ma questo lo sanno in pochi
GREEN CARD irraggiungibile....mitica...impossibile
la via più breve? sposa un americano e te ne danno una provvisoria per 3 anni durante i quali sei sottoposto all'inquisizione degli ufficiali dell immigrazione
Messaggio del 05-04-2011 alle ore 14:15:37
in australia è anche peggio
per il resto benvenuti a tutti in grulloland (italy)
in australia è anche peggio
per il resto benvenuti a tutti in grulloland (italy)
Messaggio del 07-04-2011 alle ore 19:44:41
for d i Ball,cari itagliani
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Editato da Bobrock il 07/04/2011 alle 19:45:36
for d i Ball,cari itagliani
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Editato da Bobrock il 07/04/2011 alle 19:45:36
Messaggio del 07-04-2011 alle ore 19:49:57
for d i ball 2
for d i ball 2
Messaggio del 07-04-2011 alle ore 20:10:13
hanno ragione
hanno ragione
Messaggio del 10-04-2011 alle ore 14:19:05
Quelli che non dicono sciocchezze se lo leggeranno...
Psicologia contemporanea n. 165, Maggio / Giugno 2001
Le radici del pregiudizio
Molte spiegazioni che in ambito psicologico vengono date del pregiudizio sembrano condurre all’idea che, in definitiva, questo fenomeno sia in qualche modo intrinsecamente legato alla natura umana e che dunque, per la semplice ragione che appartiene al nostro modo di essere, di esso non sia possibile liberarsi. Questo tipo di valutazione ha dato luogo, nei confronti della psicologia, ad un’accusa di implicito sostegno al razzismo (Howitt e Owusu-Bempah, 1994).
Tale accusa può essere evidentemente valida se rivolta a coloro che di fatto utilizzano i risultati della psicologia per sostenere l’inevitabilità del pregiudizio e l’inutilità delle misure sociali che mirano a ridurlo. Ma diventa pericolosa se, in forma più o meno esplicita, intende scoraggiare la conoscenza approfondita dei meccanismi (spesso anche inconsci e automatici) di produzione e riproduzione del pregiudizio.
In realtà, solo la conoscenza di tali meccanismi, che tra l’altro chiamano in causa fattori cognitivi, identitari e di gruppo, oltre che linguistici, comunicativi e, più generalmente culturali, può costituire il mezzo privilegiato per avviare procedure di intervento sociale realmente efficaci, tanto nel breve quanto nel lungo periodo.
Bruno M. Mazzarra
PREGIUDIZIO E QUOTIDIANITÀ
Di solito, quando si parla di pregiudizio balzano subito agli occhi i gravi episodi di intolleranza, discriminazione o ostilità razziale riportati dalle cronache: il gruppo di balordi che aggredisce l’ignaro immigrato, magari per gioco, ma con esiti talvolta letali, la mobilitazione del quartiere cittadino contro l’insediamento di stranieri, le odiose manifestazioni di antisemitismo che periodicamente ripropongono alla nostra attenzione fantasmi del passato che speravamo sepolti per sempre... Episodi di questo tipo rappresentano però solo un aspetto, quello più eclatante ed estremo, di un fenomeno che in realtà è molto più ampio e ci accompagna tutti nella vita quotidiana assai più di quanto riusciamo a credere o ad ammettere.
Le nostre valutazioni dei fatti legati all’immigrazione, ad esempio, risultano spesso molto distorte. In genere tendiamo a sovrastimare il numero di immigrati presenti nella nostra società, ad ingigantire i problemi che queste persone possono porre, ad esagerare il loro ruolo nella criminalità, a sopravvalutare gli effetti che un aumento dell’immigrazione potrebbe avere sul nostro livello complessivo di sicurezza. Peraltro, non teniamo conto del fatto che la criminalità risulta quasi sempre in massima parte gestita dai nostri connazionali, soprattutto a livello organizzativo.
Forse ancora più insidioso, come segno di pregiudizio, è quel senso di distanza, quasi sempre di superiorità, che spesso accompagna i nostri rapporti con chi appartiene ad un gruppo etnico diverso dal nostro. Ciò si verifica anche quando si sia animati da buone intenzioni e si sia convinti, a livello esplicito e consapevole, di essere ben disposti nei confronti del “diverso”. Pensiamo, ad esempio, a quante volte ci capita di rivolgerci ad un immigrato, magari neppur giovanissimo, usando il “tu” al posto del “lei”, come invece prevedono le nostre regole sociali nell’interazione fra sconosciuti.
Perché dunque i pregiudizi risultano così pervasivi? Perché ci riesce così difficile liberarcene, anche quando in buona fede vorremmo farlo? La ricerca psicologica si è da sempre occupata di questo argomento, considerandolo per certi aspetti come un tema fondamentale, dato che chiama in causa, da un lato, la nostra capacità di vedere e interpretare la realtà in maniera corretta e, dall’altro, il ruolo che variabili di tipo sociale, quali l’appartenenza a gruppi e le dinamiche relazionali fra i gruppi stessi, hanno nel condizionare i nostri processi di conoscenza. Che ha dunque da dire la psicologia?
LA PAURA DEL DIVERSO
Secondo gli psicologi di orientamento biologico-evoluzionista, la nostra tendenza ad essere ostili nei confronti di chi non appartiene al nostro gruppo sarebbe il risultato del lungo processo evoluzionistico di adattamento. Infatti, ai primordi della specie, la tendenza a riconoscere come nemici gli individui che non appartenevano al proprio gruppo ristretto e, parallelamente, la tendenza a favorire in ogni modo i membri che invece lo componevano, avevano una chiara funzione adattiva.
Come è noto, quella che è stata definita “etica del piccolo gruppo” consentiva ai nostri progenitori di massimizzare il loro successo riproduttivo, sia perché nel piccolo gruppo si realizzava una rete di protezione e appoggi reciproci, sia perché, trattandosi di gruppi ancora largamente consanguinei, ogni intervento a sostegno di un membro serviva in definitiva a favorire la propagazione dei geni di chi lo metteva in atto. Nel corso dell’evoluzione, dicono gli psicologi di orientamento biologico-evoluzionista, si è venuta così a creare una propensione a base innata ad essere diffidenti ed ostili nei confronti di quanti appartengono a gruppi diversi. Nei casi estremi, gli appartenenti ad altri gruppi vengono percepiti quasi come una “specie diversa”, quindi trattati di fatto come “non umani” ed esposti a forme anche estreme di violenza (Attili, Farabollini e Messeri, 1996; Attui, 2000).
A partire da questo approccio, si è sviluppato un importante filone di ricerche, noto come sociobiologia dell’etnocentrismo (Reynolds, Falger e Vine, 1987), che mira ad interpretare i legami che sussistono tra i processi evolutivi di tipo biologico e le manifestazioni psicologiche e culturali nelle quali si esprime l’ostilità nei confronti del diverso.
L’ANATEMA
L’etnocentrismo, che viene considerato all’origine del pregiudizio, sarebbe dunque l’equivalente, nella specie umana, dei legami di consanguineità che in tutte le altre specie animali governano la rete delle relazioni sociali. Con qualche necessario aggiustamento: la nostra peculiare dotazione culturale ci avrebbe infatti imposto di trasferire ad un livello più complesso - quello della distinzione culturalmente definita fra “in-group” (gruppo di appartenenza) e “out-group” (gruppo esterno) - la tendenza a favorire quanti condividono il nostro patrimonio genetico. Da qui l’importanza di tutti i segni che ci consentono di marcare le appartenenze e di distinguere gli amici dai nemici: i tratti somatici, la lingua, l’abbigliamento, il comportamento, ma anche le divise, le bandiere e quant’altro possano servire a sancire il discrimine fra chi è dentro il gruppo e chi ne è fuori.
A questo tipo d’impostazione, più che ad altre, è stata rivolta l’accusa di voler in ultima analisi giustificare, o quanto meno considerare inevitabile, il pregiudizio. Ne è nato un dibattito anche molto aspro, nel quale è stata messa in dubbio la reale possibilità di connettere il livello dell’evoluzione biologica a quello della produzione culturale. Soprattutto, è stata fortemente contestata la natura “ideologicamente marcata” di queste concezioni, che rappresenterebbero, in ultima analisi, una vera e propria copertura scientifica per orientamenti sociopolitici conservatori, se non addirittura esplicitamente razzisti. Un anatema giustificato?
Il nocciolo della questione, in realtà, ruota tutto intorno al rapporto fra dotazione genetica e comportamento effettivo. Infatti, se si considera il comportamento come interamente subordinato all’istinto, vale a dire ad una forza cieca che spinge prepotentemente l’individuo a mettere in atto una specifica condotta, allora l’ostilità interetnica può effettivamente configurarsi come un destino ineluttabile. Al contrario, se si considera, come in realtà fanno gli autori interessati alla prospettiva biologico-evoluzionista, il comportamento come basato su semplici propensioni a base innata, le quali possono dar luogo a comportamenti anche molto diversi tra loro, e comunque sempre sensibili al condizionamento sociale e culturale, allora le cose appaiono sotto una luce completamente diversa. Riconoscere la forza delle propensioni a base innata, lungi dall’essere un ostacolo, costituisce di fatto un potente incentivo per individuare le modalità con cui tali propensioni si realizzano (modalità che, come stiamo per vedere, chiamano tra l’altro in causa fattori cognitivi, identitari, di gruppo, oltre che linguistici, comunicativi e, più generalmente, culturali) e quindi per avviare programmi sociali volti alla riduzione della conflittualità.
IL BISOGNO DI SEMPLIFICARE
Vi sarà certamente capitato di osservare quanto persone appartenenti a gruppi etnici diversi dal vostro vi sembrino simili tra loro, tanto da apparire in certi casi addirittura indistinguibili.
Quest’impressione, che si verifica non solo in riferimento ai tratti fisici, ma anche rispetto alle caratteristiche psicologiche e comportamentali, e che è tanto più forte quanto più il gruppo osservato è diverso, è stata definita effetto di omogeneità dell’out-group, ed è uno dei fenomeni studiati dagli psicologi che si occupano di pregiudizio da una prospettiva cognitivista. La mente si trova costantemente sommersa da una quantità sterminata di informazioni elementari, informazioni che non può assolutamente trattare una ad una e ancor meno memorizzare nella loro totalità o nella loro infinita articolazione. Da qui la necessità di attivare una serie di strategie cognitive volte a selezionare e organizzare le informazioni in arrivo, in modo da renderle compatibili con le potenzialità, molto alte, ma certamente non infinite, della mente umana.
Uno dei mezzi principali che si adoperano a questo scopo è la categorizzazione, cioè la tendenza a raggruppare gli oggetti, le persone, gli eventi, le idee ed ogni altro possibile oggetto di conoscenza, in insiemi che possano essere considerati omogenei e trattati come entità complessive. In questo processo viene ovviamente sopravvalutato ciò che gli elementi hanno in comune e sottovalutato invece ciò che hanno di diverso fra loro. In pratica, si attiva un processo che viene definito accentuazione percettiva e che consiste nel considerare più piccole di quanto effettivamente siano le differenze all’interno di una categoria e più grandi invece quelle fra le diverse categorie. Nel caso della percezione sociale, questo processo si traduce in quella che si può considerare come la base cognitiva del pregiudizio, vale a dire il fatto di percepire gli altri non tanto in termini di singoli individui, quanto piuttosto in termini di categorie sociali.
GLI STEREOTIPI
Così, considerando come elementi discriminanti alcune caratteristiche particolarmente salienti e socialmente significative, tendiamo a valutare le persone non per quello che realmente sono, e dunque nella loro irripetibile singolarità, bensì in funzione della loro appartenenza ad un certo gruppo, che viene di fatto considerato omogeneo. Ciò avviene a partire in genere dalle caratteristiche fisiche, ma include quasi sempre tutta una vasta gamma di caratteristiche psicologiche e di disposizioni: i tratti di personalità, i valori, le motivazioni e, secondo le interpretazioni più spinte, perfino le stesse capacità intellettive. Si vengono in tal modo a creare gli stereotipi, vale a dire delle configurazioni di tratti che si considerano applicabili ad interi gruppi e ad intere categorie sociali. Tali tratti governano, di fatto e più spesso di quanto pensiamo, le nostre relazioni con le persone appartenenti a quel certo insieme (Mazzara, 1997; Arcuri e Cadinu, 1998).
Uno dei problemi fondamentali degli stereotipi, di cui la psicologia del pregiudizio si è occupata a fondo, è il fatto che essi sono abbastanza difficili da modificare. Inoltre, molto spesso attivano dei veri e propri processi di autoriproduzione, vale a dire dei meccanismi che consentono loro di permanere pressoché invariati, nonostante le prove contrarie e a dispetto degli sforzi attivi che si possano mettere in atto per eliminarli. Si può insomma ritenere che gli stereotipi funzionino come delle “guide” nella nostra continua ricerca di informazioni. Per cui, ad esempio, se entriamo in relazione con una persona appartenente ad un determinato gruppo, interpreteremo i dati di quell’esperienza in rapporto allo stereotipo del gruppo. Se ci aspettiamo, in base allo stereotipo, che quella persona sia particolarmente fredda e distaccata tenderemo a sopravvalutare e a ricordare meglio gli episodi che ci permettono di confermare l’aspettativa e tenderemo invece ad ignorare, considerandoli come variazioni accidentali non particolarmente informative, gli episodi in cui sono stati espressi comportamenti contrari allo stereotipo.
Addirittura, potremo attivamente provocare noi stessi, sia pur inconsapevolmente, la conferma delle nostre aspettative, secondo il noto meccanismo della “profezia che si autoavvera”: nei confronti di una persona che ci aspettiamo fredda e scostante agiremo in maniera poco calorosa, ottenendo in risposta un comportamento simile, che ovviamente tenderemo a ritenere una riprova dell’esattezza dello stereotipo.
IL FAVORITISMO PER L’IN-GROUP
Nella nostra vita quotidiana abbiamo numerose occasioni di interagire con persone appartenenti a gruppi diversi dal nostro, se consideriamo come elemento di diversità non solo l’importante distinzione etnica, ma anche tutta la vasta gamma di caratteristiche personali e relazionali che possono innescare un sentimento d’appartenenza. Pensiamo al sesso, all’età, alla professione, ma anche al vicinato, al quartiere, al gruppo di lavoro ristretto, al partito politico (o magari alla corrente al suo interno), al tifo sportivo, all’hobby praticato.
Noi viviamo, per usare la felice espressione di Simmel, in un’infinita rete di cerchie sociali, organizzate concentricamente, ma anche infinitamente intersecantisi. Un professore universitario, ad esempio, si sentirà probabilmente unito più ai suoi colleghi che a quanti fanno un altro lavoro, ma si sentirà più unito ai colleghi della sua materia che a quelli che insegnano materie diverse. Poi più a quelli della sua facoltà che a quelli di un’altra. Più a quelli del suo dipartimento che a quelli di un altro della stessa facoltà. Infine, più a quelli di una certa corrente d’opinione all’interno del dipartimento che a quelli di un’altra corrente. Lo stesso professore, d’altro canto, si riconoscerà anche in una delle due aggregazioni politiche di un sistema bipolare, ma poi anche in un certo partito che fa capo a quell’aggregazione e in una certa corrente di quel partito. Infine, si riconoscerà nella cerchia di amici che, nella sua città, rappresentano quella particolare corrente.
Per ciascuna delle sue infinite cerchie sociali, ognuno di noi produce con estrema facilità quel fenomeno di favoritismo per l’in-group che costituisce una delle espressioni più evidenti dell’appartenenza. Appena possibile, tendiamo ad operare in modo da favorire i membri del nostro gruppo. Le opinioni e le azioni dei membri di questo vengono considerate più positive e degne di quelle dei membri di un altro gruppo. In caso di conflitto fra i due gruppi, tendiamo ad attribuire la responsabilità dello scontro agli “altri” e interpretiamo i gesti aggressivi dei “nostri” come una necessità difensiva.
Ma qual è il motivo di questa forte tendenza a favorire il gruppo d’appartenenza? Si potrebbe pensare che si tratti di una sorta di calcolo utilitaristico, nel senso che ci si aspetta di vederci in futuro restituito il favore e l’appoggio. Oppure ipotizzare che entrino in gioco dinamiche di tipo affettivo, nel senso che ai membri del nostro gruppo siamo comunque più legati da vincoli di amicizia e conoscenza reciproca. Tutto ciò è senz’altro vero, ma la ricerca psicosociale ha dimostrato che per innescare fenomeni di favoritismo è sufficiente la semplice categorizzazione, in assenza di qualsiasi elemento di familiarità, conoscenza o interazione e anche di qualsiasi aspettativa di tornaconto personale.
IN-GROUP E IDENTITÀ
In una celebre serie di esperimenti, che hanno dato luogo ad un vero e proprio paradigma sperimentale noto come “situazione intergruppi minima”, si è dimostrato come le persone tendano a favorire il proprio gruppo anche se: 1) questo è privo di qualsiasi significato (ad esempio, è stato costituito mediante una suddivisione totalmente arbitraria da parte degli sperimentatori), 2) se ne ignora la composizione effettiva, 3) si sa di non poter trarre alcun vantaggio personale dall’operazione di favoritismo. Inoltre, si è dimostrato che il favoritismo tende ad esprimersi non tanto in termini assoluti, vale a dire tenendo conto della quantità di risorse o di vantaggi che si riesce a far assegnare ai membri del proprio gruppo, quanto piuttosto in termini relativi, cioè facendo semplicemente riferimento allo scarto che si riesce ad ottenere fra le risorse e i vantaggi assegnati al proprio gruppo e quelli assegnati all’altro.
Nella realtà sociale concreta, il favoritismo per l’in-group si esprime in moltissimi modi, spesso anche molto sottili. Più comune è una distorsione di solito molto evidente dei processi di attribuzione causale, cioè delle nostre idee circa le cause delle azioni e dei successi o insuccessi nostri e degli altri. Nel caso di un membro dell’in-group si tenderà a pensare a cause interne (la sua abilità, il suo carattere), quando si tratti di un’azione positiva o di un successo, e a cause esterne (le condizioni oggettive, il comportamento precedente degli altri), quando si tratti di un’azione negativa o di un insuccesso. Viceversa, per un membro dell’out-group si penserà ad una causa interna per eventi negativi ed esterna per eventi positivi.
Nel caso degli immigrati, ad esempio, si tende ad imputare il loro eventuale coinvolgimento in attività criminose ad una loro propensione personale o alla scarsa voglia di lavorare e non alle oggettive difficoltà d’inserimento o alla pressione della malavita nostrana. Invece, si tende ad attribuire la nostra ostilità verso di loro non a una disposizione negativa, ma a motivi oggettivi: le resistenze degli immigrati ad accettare il lavoro e ad inserirsi nella vita civile, il loro facile coinvolgimento nelle attività criminose, ecc.
La ragione principale per la quale si attivano questi processi di favoritismo per il proprio gruppo può essere individuata nel fatto che l’individuo ricava dall’appartenenza ai gruppi una parte consistente della propria identità, sicché è portato a trasferire sul gruppo gli stessi meccanismi di protezione dell’autostima e favoritismo che normalmente vengono applicati a se stesso. Sappiamo che di solito tendiamo a sopravvalutare i nostri meriti e successi, dimenticando presto demeriti e insuccessi, che tendiamo a circondarci di persone che condividono le nostre scelte e il nostro modo di vedere le cose, in modo da vedere confermata la bontà del nostro operato, che tendiamo comunque ad orientare gli eventi cercando di trarre il massimo vantaggio personale dalle situazioni. Il favoritismo per l’in-group non è altro che il trasferimento a livello collettivo della tendenza a favorire se stessi: dato che si ricava una parte importante della propria identità dall’appartenenza ad un gruppo, favorire quest’ultimo significa, in ultima analisi, favorire se stessi. Ciò avviene non solo rispetto ai vantaggi materiali (risorse o privilegi), ma anche rispetto al fatto, importantissimo, di veder confermati valori, norme e modelli comportamentali. In tal senso, il gruppo di appartenenza svolge un’importante funzione di sostegno per l’individuo, ponendosi in qualche modo come garante della bontà delle sue interpretazioni del mondo e dell’efficacia delle sue scelte operative.
COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
Comunque, quali che siano le ragioni che ci orientano a nutrire pregiudizi nei confronti di quanti appartengono a gruppi diversi dal nostro, sta di fatto che tali pregiudizi si esprimono fondamentalmente nella comunicazione sociale e prevalentemente attraverso il linguaggio. E per questo motivo che molti studiosi si sono impegnati ad esaminare non tanto i presupposti dei pregiudizi, quanto piuttosto le loro manifestazioni concrete, nell’ipotesi che sia proprio in tali manifestazioni che i pregiudizi di fatto nascano e si riproducano (van Dijk, 1987). Individuare le modalità spesso nascoste di riproduzione del pregiudizio nella comunicazione e nell’interazione sociale costituisce, secondo questa prospettiva, una via privilegiata per un reale miglioramento dei rapporti fra i gruppi.
Pensiamo, in primo luogo, al ruolo cruciale che il linguaggio svolge nella riproduzione del pregiudizio. Perché si possa creare e mantenere un pregiudizio è necessario che nel linguaggio ci sia a disposizione un”etichetta categoriale”, possibilmente dispregiativa, con la quale indicare collettivamente il gruppo estraneo. È per questo che nella lotta al pregiudizio si comincia in genere con il denunciare l’uso di etichette ritenute offensive, o comunque caricatesi nel tempo di significati negativi. Ripercorriamo, ad esempio, i termini che sono stati via via usati negli Stati Uniti per denominare la popolazione di origine africana: prima il chiaramente dispregiativo “nigger”, poi il più neutro “negro”, poi “coloured”, poi “black”, infine “african american”. Tutti tentativi di trovare un riferimento privo di risonanze negative, tentativi sostanzialmente falliti, perché ciascun nuovo termine ha rapidamente assunto i significati dei precedenti. Il problema, dunque, è stato più correttamente individuato nel fatto stesso di avere la necessità di riferirsi ad un certo insieme di persone per mezzo di un’etichetta categoriale complessiva. Perché, ci si è chiesti, nel raccontare un certo episodio sentiamo il bisogno di precisare l’appartenenza etnica o il colore della pelle del protagonista e non, poniamo, la sua statura, il colore dei suoi capelli o magari il fatto che sia mancino? Ovviamente perché riteniamo, sia pure inconsapevolmente, che l’appartenenza etnica sia, al contrario delle altre, un’informazione rilevante e che quindi ad una certa appartenenza etnica corrisponda in maniera più o meno diretta un insieme di tratti personali e comportamentali che ci possono aiutare a interpretare meglio l’episodio in questione.
Si è fatta strada in questo modo l’idea che l’unica cosa giusta da fare sia evitare del tutto il riferimento all’appartenenza etnica, ovviamente a meno che non sia assolutamente indispensabile, ad esempio come nel caso in cui sia questa stessa appartenenza l’argomento di discussione. È, questa, la nuova frontiera del linguaggio “politically correct”, attraverso il quale si sta cercando di costruire, pur non senza qualche irrigidimento, talvolta eccessivo, un terreno di più sereno confronto fra gruppi diversi (Baroncelli, 1996).
Un capitolo a parte è costituito dal ruolo del linguaggio nel rapporto fra maschi e femmine. Sappiamo infatti che la differenza di genere, come quella etnica, funziona come un elemento di forte discriminazione nei rapporti sociali, fondandosi su stereotipi largamente condivisi che trovano nel linguaggio il veicolo principale di riproduzione. Per questo motivo, in tema di rapporto fra i sessi, il “politically correct” si esprime innanzitutto nello sforzo di utilizzare un linguaggio che sia il più possibile neutro, che non porti con sé, com’è successo finora, l’implicita idea della superiorità maschile, ad esempio quella che gli uomini siano fatti “per l’azione e per il mondo” e le donne “per i sentimenti e per la casa”. Il fatto di usare il genere grammaticale maschile per riferirsi ad entrambi i generi sessuali, che è pratica molto comune e perfino codificata nella grammatica della nostra lingua, contiene evidentemente in sé l’idea che il maschile sia la norma, in grado di includere e rappresentare anche il femminile. Rimediare a questa situazione in alcuni casi è, con un po’ di buona volontà, abbastanza facile, ma in molti altri, soprattutto a causa della stessa struttura della lingua, la cosa risulta molto meno semplice. È facile, ad esempio, sostituire l’espressione “uomo” con quella di “essere umano”, laddove ci si riferisca alla specie nel suo insieme. È invece praticamente impossibile, nella lingua italiana, usare un soggetto neutro nelle frasi impersonali, come si sta invece tentando di fare nella lingua inglese, dove sempre più spesso il soggetto neutro è indicato con l’espressione “he or she”. L’italiano, infatti, prevede le concordanze di genere per aggettivi e verbi e non sarebbe praticamente possibile al parlante proseguire per intere proposizioni riportando in continuazione le due possibili variazioni lessicali.
I SISTEMI CULTURALI
Ma, oltre ai problemi legati alla lingua in sé, la comunicazione fra gruppi diversi risulta problematica (e dunque fonte di incomprensioni e tensioni, conferma degli stereotipi e rinforzo dell’ostilità reciproca) per il fatto che essa si basa su aspettative, su presupposizioni implicite, in definitiva su sistemi culturali differenti. Anche su questo terreno sono state evidenziate le difficoltà del dialogo fra uomini e donne, determinate dall’incessante interferenza delle aspettative di ruolo, dei differenti percorsi di socializzazione, dei sistemi di valori, dei diversi stili di relazione (Tannen, 1990). Ma è nel campo del rapporto fra appartenenti a gruppi etnici diversi che questo problema si pone con forza prorompente.
In questo caso, la comunicazione interpersonale rischia molto spesso di diventare un luogo in cui i contrasti, invece di affievolirsi, si acuiscono. Infatti, a parte le difficoltà legate alla traduzione che almeno uno degli interlocutori deve fare del proprio pensiero in un’altra lingua, la comunicazione può risultare poco efficace per tutta un’altra serie di motivi, legati alle differenze fra i codici culturali. La distanza fisica tra gli interlocutori, il modo in cui si occupa lo spazio, i confini del contatto corporeo, il codice del saluto, la forza con cui ci si stringe le mani. Poi il tono della voce, la direzione dello sguardo, lo scambio dei turni di parola, il modo in cui si segnala la propria attenzione e il proprio interesse a quello che l’altro dice. E, più in generale, il significato del tempo e della puntualità, l’orientamento culturale individualista o collettivista, la concezione della gerarchia e del potere.
Tutte queste dimensioni sono importantissime per la buona riuscita della comunicazione. Normalmente non ci creano problemi quando interagiamo con persone che condividono la nostra cultura, tanto che non ci rendiamo nemmeno conto della loro esistenza, ma rischiano di diventare ostacoli insormontabili nella comunicazione tra culture diverse (Balboni 1999). Per una cultura lo sguardo diretto negli occhi dell’interlocutore può essere indizio di interesse e sincerità, per un’altra può essere segnale di sfida e aggressività. In una cultura ci si può aspettare una risposta rapida, segno di attenzione e sollecitudine, mentre in un’altra una risposta di questo tipo può essere interpretata quasi come un segno di disprezzo per la domanda, giudicata non sufficientemente degna di riflessione. In queste condizioni l’interazione può alla fine risultare decisamente insoddisfacente per entrambi gli interlocutori. Ciascuno ne uscirà avendo rinforzato le proprie impressioni negative dell’altro. Che fare, allora?
Anche nel campo della comunicazione interculturale il punto di partenza per un miglioramento della situazione non può che essere costituito dal riconoscimento delle difficoltà e da una loro approfondita conoscenza.
Negare le differenze, in nome di un malinteso senso di universalismo, non serve certamente a capirsi meglio e spinge invece ad attribuire le incomprensioni a caratteristiche negative dell’altro. Occorre dunque impegnarsi a rendere espliciti i propri e gli altrui stili di comunicazione, i modi in cui i messaggi sono decodificati, le occasioni che generano incomprensioni, le modalità con le quali si gestisce complessivamente l’interazione, le norme culturali generali che stanno dietro all’incontro interpersonale (Gudykunst, 1994).
Si tratta ovviamente di un compito non semplice, che richiede competenze che il parlante comune non possiede. Ciò nonostante, se crediamo che il comportamento umano non sia preda passiva di istinti immodificabili, ma espressione di propensioni altamente flessibili ed educabili, è necessario che le istituzioni formative e quelle che si occupano a vario titolo di migliorare i rapporti fra le diverse culture si facciano promotrici di programmi di ricerca e di intervento rigorosi e scientificamente fondati. In questo campo la buona volontà, da sola, non basta. Spesso anzi finisce per venir meno, proprio per il fatto che si è operato senza tener conto della specificità e della forza di importanti variabili psicosociali.
Bruno M. Mazzara è Associato di Psicologia sociale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Si occupa da tempo di pregiudizio e relazioni interetniche. Ha pubblicato, tra l’altro, Appartenenza e pregiudizio (Roma, Carocci, 1996), Stereotipi e pregiudizi (Bologna, Il Mulino, 1997), Le dimensioni sociali dei processi psicologici (con A. Contarello, Bari, Laterza, 2000).
Quelli che non dicono sciocchezze se lo leggeranno...
Psicologia contemporanea n. 165, Maggio / Giugno 2001
Le radici del pregiudizio
Molte spiegazioni che in ambito psicologico vengono date del pregiudizio sembrano condurre all’idea che, in definitiva, questo fenomeno sia in qualche modo intrinsecamente legato alla natura umana e che dunque, per la semplice ragione che appartiene al nostro modo di essere, di esso non sia possibile liberarsi. Questo tipo di valutazione ha dato luogo, nei confronti della psicologia, ad un’accusa di implicito sostegno al razzismo (Howitt e Owusu-Bempah, 1994).
Tale accusa può essere evidentemente valida se rivolta a coloro che di fatto utilizzano i risultati della psicologia per sostenere l’inevitabilità del pregiudizio e l’inutilità delle misure sociali che mirano a ridurlo. Ma diventa pericolosa se, in forma più o meno esplicita, intende scoraggiare la conoscenza approfondita dei meccanismi (spesso anche inconsci e automatici) di produzione e riproduzione del pregiudizio.
In realtà, solo la conoscenza di tali meccanismi, che tra l’altro chiamano in causa fattori cognitivi, identitari e di gruppo, oltre che linguistici, comunicativi e, più generalmente culturali, può costituire il mezzo privilegiato per avviare procedure di intervento sociale realmente efficaci, tanto nel breve quanto nel lungo periodo.
Bruno M. Mazzarra
PREGIUDIZIO E QUOTIDIANITÀ
Di solito, quando si parla di pregiudizio balzano subito agli occhi i gravi episodi di intolleranza, discriminazione o ostilità razziale riportati dalle cronache: il gruppo di balordi che aggredisce l’ignaro immigrato, magari per gioco, ma con esiti talvolta letali, la mobilitazione del quartiere cittadino contro l’insediamento di stranieri, le odiose manifestazioni di antisemitismo che periodicamente ripropongono alla nostra attenzione fantasmi del passato che speravamo sepolti per sempre... Episodi di questo tipo rappresentano però solo un aspetto, quello più eclatante ed estremo, di un fenomeno che in realtà è molto più ampio e ci accompagna tutti nella vita quotidiana assai più di quanto riusciamo a credere o ad ammettere.
Le nostre valutazioni dei fatti legati all’immigrazione, ad esempio, risultano spesso molto distorte. In genere tendiamo a sovrastimare il numero di immigrati presenti nella nostra società, ad ingigantire i problemi che queste persone possono porre, ad esagerare il loro ruolo nella criminalità, a sopravvalutare gli effetti che un aumento dell’immigrazione potrebbe avere sul nostro livello complessivo di sicurezza. Peraltro, non teniamo conto del fatto che la criminalità risulta quasi sempre in massima parte gestita dai nostri connazionali, soprattutto a livello organizzativo.
Forse ancora più insidioso, come segno di pregiudizio, è quel senso di distanza, quasi sempre di superiorità, che spesso accompagna i nostri rapporti con chi appartiene ad un gruppo etnico diverso dal nostro. Ciò si verifica anche quando si sia animati da buone intenzioni e si sia convinti, a livello esplicito e consapevole, di essere ben disposti nei confronti del “diverso”. Pensiamo, ad esempio, a quante volte ci capita di rivolgerci ad un immigrato, magari neppur giovanissimo, usando il “tu” al posto del “lei”, come invece prevedono le nostre regole sociali nell’interazione fra sconosciuti.
Perché dunque i pregiudizi risultano così pervasivi? Perché ci riesce così difficile liberarcene, anche quando in buona fede vorremmo farlo? La ricerca psicologica si è da sempre occupata di questo argomento, considerandolo per certi aspetti come un tema fondamentale, dato che chiama in causa, da un lato, la nostra capacità di vedere e interpretare la realtà in maniera corretta e, dall’altro, il ruolo che variabili di tipo sociale, quali l’appartenenza a gruppi e le dinamiche relazionali fra i gruppi stessi, hanno nel condizionare i nostri processi di conoscenza. Che ha dunque da dire la psicologia?
LA PAURA DEL DIVERSO
Secondo gli psicologi di orientamento biologico-evoluzionista, la nostra tendenza ad essere ostili nei confronti di chi non appartiene al nostro gruppo sarebbe il risultato del lungo processo evoluzionistico di adattamento. Infatti, ai primordi della specie, la tendenza a riconoscere come nemici gli individui che non appartenevano al proprio gruppo ristretto e, parallelamente, la tendenza a favorire in ogni modo i membri che invece lo componevano, avevano una chiara funzione adattiva.
Come è noto, quella che è stata definita “etica del piccolo gruppo” consentiva ai nostri progenitori di massimizzare il loro successo riproduttivo, sia perché nel piccolo gruppo si realizzava una rete di protezione e appoggi reciproci, sia perché, trattandosi di gruppi ancora largamente consanguinei, ogni intervento a sostegno di un membro serviva in definitiva a favorire la propagazione dei geni di chi lo metteva in atto. Nel corso dell’evoluzione, dicono gli psicologi di orientamento biologico-evoluzionista, si è venuta così a creare una propensione a base innata ad essere diffidenti ed ostili nei confronti di quanti appartengono a gruppi diversi. Nei casi estremi, gli appartenenti ad altri gruppi vengono percepiti quasi come una “specie diversa”, quindi trattati di fatto come “non umani” ed esposti a forme anche estreme di violenza (Attili, Farabollini e Messeri, 1996; Attui, 2000).
A partire da questo approccio, si è sviluppato un importante filone di ricerche, noto come sociobiologia dell’etnocentrismo (Reynolds, Falger e Vine, 1987), che mira ad interpretare i legami che sussistono tra i processi evolutivi di tipo biologico e le manifestazioni psicologiche e culturali nelle quali si esprime l’ostilità nei confronti del diverso.
L’ANATEMA
L’etnocentrismo, che viene considerato all’origine del pregiudizio, sarebbe dunque l’equivalente, nella specie umana, dei legami di consanguineità che in tutte le altre specie animali governano la rete delle relazioni sociali. Con qualche necessario aggiustamento: la nostra peculiare dotazione culturale ci avrebbe infatti imposto di trasferire ad un livello più complesso - quello della distinzione culturalmente definita fra “in-group” (gruppo di appartenenza) e “out-group” (gruppo esterno) - la tendenza a favorire quanti condividono il nostro patrimonio genetico. Da qui l’importanza di tutti i segni che ci consentono di marcare le appartenenze e di distinguere gli amici dai nemici: i tratti somatici, la lingua, l’abbigliamento, il comportamento, ma anche le divise, le bandiere e quant’altro possano servire a sancire il discrimine fra chi è dentro il gruppo e chi ne è fuori.
A questo tipo d’impostazione, più che ad altre, è stata rivolta l’accusa di voler in ultima analisi giustificare, o quanto meno considerare inevitabile, il pregiudizio. Ne è nato un dibattito anche molto aspro, nel quale è stata messa in dubbio la reale possibilità di connettere il livello dell’evoluzione biologica a quello della produzione culturale. Soprattutto, è stata fortemente contestata la natura “ideologicamente marcata” di queste concezioni, che rappresenterebbero, in ultima analisi, una vera e propria copertura scientifica per orientamenti sociopolitici conservatori, se non addirittura esplicitamente razzisti. Un anatema giustificato?
Il nocciolo della questione, in realtà, ruota tutto intorno al rapporto fra dotazione genetica e comportamento effettivo. Infatti, se si considera il comportamento come interamente subordinato all’istinto, vale a dire ad una forza cieca che spinge prepotentemente l’individuo a mettere in atto una specifica condotta, allora l’ostilità interetnica può effettivamente configurarsi come un destino ineluttabile. Al contrario, se si considera, come in realtà fanno gli autori interessati alla prospettiva biologico-evoluzionista, il comportamento come basato su semplici propensioni a base innata, le quali possono dar luogo a comportamenti anche molto diversi tra loro, e comunque sempre sensibili al condizionamento sociale e culturale, allora le cose appaiono sotto una luce completamente diversa. Riconoscere la forza delle propensioni a base innata, lungi dall’essere un ostacolo, costituisce di fatto un potente incentivo per individuare le modalità con cui tali propensioni si realizzano (modalità che, come stiamo per vedere, chiamano tra l’altro in causa fattori cognitivi, identitari, di gruppo, oltre che linguistici, comunicativi e, più generalmente, culturali) e quindi per avviare programmi sociali volti alla riduzione della conflittualità.
IL BISOGNO DI SEMPLIFICARE
Vi sarà certamente capitato di osservare quanto persone appartenenti a gruppi etnici diversi dal vostro vi sembrino simili tra loro, tanto da apparire in certi casi addirittura indistinguibili.
Quest’impressione, che si verifica non solo in riferimento ai tratti fisici, ma anche rispetto alle caratteristiche psicologiche e comportamentali, e che è tanto più forte quanto più il gruppo osservato è diverso, è stata definita effetto di omogeneità dell’out-group, ed è uno dei fenomeni studiati dagli psicologi che si occupano di pregiudizio da una prospettiva cognitivista. La mente si trova costantemente sommersa da una quantità sterminata di informazioni elementari, informazioni che non può assolutamente trattare una ad una e ancor meno memorizzare nella loro totalità o nella loro infinita articolazione. Da qui la necessità di attivare una serie di strategie cognitive volte a selezionare e organizzare le informazioni in arrivo, in modo da renderle compatibili con le potenzialità, molto alte, ma certamente non infinite, della mente umana.
Uno dei mezzi principali che si adoperano a questo scopo è la categorizzazione, cioè la tendenza a raggruppare gli oggetti, le persone, gli eventi, le idee ed ogni altro possibile oggetto di conoscenza, in insiemi che possano essere considerati omogenei e trattati come entità complessive. In questo processo viene ovviamente sopravvalutato ciò che gli elementi hanno in comune e sottovalutato invece ciò che hanno di diverso fra loro. In pratica, si attiva un processo che viene definito accentuazione percettiva e che consiste nel considerare più piccole di quanto effettivamente siano le differenze all’interno di una categoria e più grandi invece quelle fra le diverse categorie. Nel caso della percezione sociale, questo processo si traduce in quella che si può considerare come la base cognitiva del pregiudizio, vale a dire il fatto di percepire gli altri non tanto in termini di singoli individui, quanto piuttosto in termini di categorie sociali.
GLI STEREOTIPI
Così, considerando come elementi discriminanti alcune caratteristiche particolarmente salienti e socialmente significative, tendiamo a valutare le persone non per quello che realmente sono, e dunque nella loro irripetibile singolarità, bensì in funzione della loro appartenenza ad un certo gruppo, che viene di fatto considerato omogeneo. Ciò avviene a partire in genere dalle caratteristiche fisiche, ma include quasi sempre tutta una vasta gamma di caratteristiche psicologiche e di disposizioni: i tratti di personalità, i valori, le motivazioni e, secondo le interpretazioni più spinte, perfino le stesse capacità intellettive. Si vengono in tal modo a creare gli stereotipi, vale a dire delle configurazioni di tratti che si considerano applicabili ad interi gruppi e ad intere categorie sociali. Tali tratti governano, di fatto e più spesso di quanto pensiamo, le nostre relazioni con le persone appartenenti a quel certo insieme (Mazzara, 1997; Arcuri e Cadinu, 1998).
Uno dei problemi fondamentali degli stereotipi, di cui la psicologia del pregiudizio si è occupata a fondo, è il fatto che essi sono abbastanza difficili da modificare. Inoltre, molto spesso attivano dei veri e propri processi di autoriproduzione, vale a dire dei meccanismi che consentono loro di permanere pressoché invariati, nonostante le prove contrarie e a dispetto degli sforzi attivi che si possano mettere in atto per eliminarli. Si può insomma ritenere che gli stereotipi funzionino come delle “guide” nella nostra continua ricerca di informazioni. Per cui, ad esempio, se entriamo in relazione con una persona appartenente ad un determinato gruppo, interpreteremo i dati di quell’esperienza in rapporto allo stereotipo del gruppo. Se ci aspettiamo, in base allo stereotipo, che quella persona sia particolarmente fredda e distaccata tenderemo a sopravvalutare e a ricordare meglio gli episodi che ci permettono di confermare l’aspettativa e tenderemo invece ad ignorare, considerandoli come variazioni accidentali non particolarmente informative, gli episodi in cui sono stati espressi comportamenti contrari allo stereotipo.
Addirittura, potremo attivamente provocare noi stessi, sia pur inconsapevolmente, la conferma delle nostre aspettative, secondo il noto meccanismo della “profezia che si autoavvera”: nei confronti di una persona che ci aspettiamo fredda e scostante agiremo in maniera poco calorosa, ottenendo in risposta un comportamento simile, che ovviamente tenderemo a ritenere una riprova dell’esattezza dello stereotipo.
IL FAVORITISMO PER L’IN-GROUP
Nella nostra vita quotidiana abbiamo numerose occasioni di interagire con persone appartenenti a gruppi diversi dal nostro, se consideriamo come elemento di diversità non solo l’importante distinzione etnica, ma anche tutta la vasta gamma di caratteristiche personali e relazionali che possono innescare un sentimento d’appartenenza. Pensiamo al sesso, all’età, alla professione, ma anche al vicinato, al quartiere, al gruppo di lavoro ristretto, al partito politico (o magari alla corrente al suo interno), al tifo sportivo, all’hobby praticato.
Noi viviamo, per usare la felice espressione di Simmel, in un’infinita rete di cerchie sociali, organizzate concentricamente, ma anche infinitamente intersecantisi. Un professore universitario, ad esempio, si sentirà probabilmente unito più ai suoi colleghi che a quanti fanno un altro lavoro, ma si sentirà più unito ai colleghi della sua materia che a quelli che insegnano materie diverse. Poi più a quelli della sua facoltà che a quelli di un’altra. Più a quelli del suo dipartimento che a quelli di un altro della stessa facoltà. Infine, più a quelli di una certa corrente d’opinione all’interno del dipartimento che a quelli di un’altra corrente. Lo stesso professore, d’altro canto, si riconoscerà anche in una delle due aggregazioni politiche di un sistema bipolare, ma poi anche in un certo partito che fa capo a quell’aggregazione e in una certa corrente di quel partito. Infine, si riconoscerà nella cerchia di amici che, nella sua città, rappresentano quella particolare corrente.
Per ciascuna delle sue infinite cerchie sociali, ognuno di noi produce con estrema facilità quel fenomeno di favoritismo per l’in-group che costituisce una delle espressioni più evidenti dell’appartenenza. Appena possibile, tendiamo ad operare in modo da favorire i membri del nostro gruppo. Le opinioni e le azioni dei membri di questo vengono considerate più positive e degne di quelle dei membri di un altro gruppo. In caso di conflitto fra i due gruppi, tendiamo ad attribuire la responsabilità dello scontro agli “altri” e interpretiamo i gesti aggressivi dei “nostri” come una necessità difensiva.
Ma qual è il motivo di questa forte tendenza a favorire il gruppo d’appartenenza? Si potrebbe pensare che si tratti di una sorta di calcolo utilitaristico, nel senso che ci si aspetta di vederci in futuro restituito il favore e l’appoggio. Oppure ipotizzare che entrino in gioco dinamiche di tipo affettivo, nel senso che ai membri del nostro gruppo siamo comunque più legati da vincoli di amicizia e conoscenza reciproca. Tutto ciò è senz’altro vero, ma la ricerca psicosociale ha dimostrato che per innescare fenomeni di favoritismo è sufficiente la semplice categorizzazione, in assenza di qualsiasi elemento di familiarità, conoscenza o interazione e anche di qualsiasi aspettativa di tornaconto personale.
IN-GROUP E IDENTITÀ
In una celebre serie di esperimenti, che hanno dato luogo ad un vero e proprio paradigma sperimentale noto come “situazione intergruppi minima”, si è dimostrato come le persone tendano a favorire il proprio gruppo anche se: 1) questo è privo di qualsiasi significato (ad esempio, è stato costituito mediante una suddivisione totalmente arbitraria da parte degli sperimentatori), 2) se ne ignora la composizione effettiva, 3) si sa di non poter trarre alcun vantaggio personale dall’operazione di favoritismo. Inoltre, si è dimostrato che il favoritismo tende ad esprimersi non tanto in termini assoluti, vale a dire tenendo conto della quantità di risorse o di vantaggi che si riesce a far assegnare ai membri del proprio gruppo, quanto piuttosto in termini relativi, cioè facendo semplicemente riferimento allo scarto che si riesce ad ottenere fra le risorse e i vantaggi assegnati al proprio gruppo e quelli assegnati all’altro.
Nella realtà sociale concreta, il favoritismo per l’in-group si esprime in moltissimi modi, spesso anche molto sottili. Più comune è una distorsione di solito molto evidente dei processi di attribuzione causale, cioè delle nostre idee circa le cause delle azioni e dei successi o insuccessi nostri e degli altri. Nel caso di un membro dell’in-group si tenderà a pensare a cause interne (la sua abilità, il suo carattere), quando si tratti di un’azione positiva o di un successo, e a cause esterne (le condizioni oggettive, il comportamento precedente degli altri), quando si tratti di un’azione negativa o di un insuccesso. Viceversa, per un membro dell’out-group si penserà ad una causa interna per eventi negativi ed esterna per eventi positivi.
Nel caso degli immigrati, ad esempio, si tende ad imputare il loro eventuale coinvolgimento in attività criminose ad una loro propensione personale o alla scarsa voglia di lavorare e non alle oggettive difficoltà d’inserimento o alla pressione della malavita nostrana. Invece, si tende ad attribuire la nostra ostilità verso di loro non a una disposizione negativa, ma a motivi oggettivi: le resistenze degli immigrati ad accettare il lavoro e ad inserirsi nella vita civile, il loro facile coinvolgimento nelle attività criminose, ecc.
La ragione principale per la quale si attivano questi processi di favoritismo per il proprio gruppo può essere individuata nel fatto che l’individuo ricava dall’appartenenza ai gruppi una parte consistente della propria identità, sicché è portato a trasferire sul gruppo gli stessi meccanismi di protezione dell’autostima e favoritismo che normalmente vengono applicati a se stesso. Sappiamo che di solito tendiamo a sopravvalutare i nostri meriti e successi, dimenticando presto demeriti e insuccessi, che tendiamo a circondarci di persone che condividono le nostre scelte e il nostro modo di vedere le cose, in modo da vedere confermata la bontà del nostro operato, che tendiamo comunque ad orientare gli eventi cercando di trarre il massimo vantaggio personale dalle situazioni. Il favoritismo per l’in-group non è altro che il trasferimento a livello collettivo della tendenza a favorire se stessi: dato che si ricava una parte importante della propria identità dall’appartenenza ad un gruppo, favorire quest’ultimo significa, in ultima analisi, favorire se stessi. Ciò avviene non solo rispetto ai vantaggi materiali (risorse o privilegi), ma anche rispetto al fatto, importantissimo, di veder confermati valori, norme e modelli comportamentali. In tal senso, il gruppo di appartenenza svolge un’importante funzione di sostegno per l’individuo, ponendosi in qualche modo come garante della bontà delle sue interpretazioni del mondo e dell’efficacia delle sue scelte operative.
COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
Comunque, quali che siano le ragioni che ci orientano a nutrire pregiudizi nei confronti di quanti appartengono a gruppi diversi dal nostro, sta di fatto che tali pregiudizi si esprimono fondamentalmente nella comunicazione sociale e prevalentemente attraverso il linguaggio. E per questo motivo che molti studiosi si sono impegnati ad esaminare non tanto i presupposti dei pregiudizi, quanto piuttosto le loro manifestazioni concrete, nell’ipotesi che sia proprio in tali manifestazioni che i pregiudizi di fatto nascano e si riproducano (van Dijk, 1987). Individuare le modalità spesso nascoste di riproduzione del pregiudizio nella comunicazione e nell’interazione sociale costituisce, secondo questa prospettiva, una via privilegiata per un reale miglioramento dei rapporti fra i gruppi.
Pensiamo, in primo luogo, al ruolo cruciale che il linguaggio svolge nella riproduzione del pregiudizio. Perché si possa creare e mantenere un pregiudizio è necessario che nel linguaggio ci sia a disposizione un”etichetta categoriale”, possibilmente dispregiativa, con la quale indicare collettivamente il gruppo estraneo. È per questo che nella lotta al pregiudizio si comincia in genere con il denunciare l’uso di etichette ritenute offensive, o comunque caricatesi nel tempo di significati negativi. Ripercorriamo, ad esempio, i termini che sono stati via via usati negli Stati Uniti per denominare la popolazione di origine africana: prima il chiaramente dispregiativo “nigger”, poi il più neutro “negro”, poi “coloured”, poi “black”, infine “african american”. Tutti tentativi di trovare un riferimento privo di risonanze negative, tentativi sostanzialmente falliti, perché ciascun nuovo termine ha rapidamente assunto i significati dei precedenti. Il problema, dunque, è stato più correttamente individuato nel fatto stesso di avere la necessità di riferirsi ad un certo insieme di persone per mezzo di un’etichetta categoriale complessiva. Perché, ci si è chiesti, nel raccontare un certo episodio sentiamo il bisogno di precisare l’appartenenza etnica o il colore della pelle del protagonista e non, poniamo, la sua statura, il colore dei suoi capelli o magari il fatto che sia mancino? Ovviamente perché riteniamo, sia pure inconsapevolmente, che l’appartenenza etnica sia, al contrario delle altre, un’informazione rilevante e che quindi ad una certa appartenenza etnica corrisponda in maniera più o meno diretta un insieme di tratti personali e comportamentali che ci possono aiutare a interpretare meglio l’episodio in questione.
Si è fatta strada in questo modo l’idea che l’unica cosa giusta da fare sia evitare del tutto il riferimento all’appartenenza etnica, ovviamente a meno che non sia assolutamente indispensabile, ad esempio come nel caso in cui sia questa stessa appartenenza l’argomento di discussione. È, questa, la nuova frontiera del linguaggio “politically correct”, attraverso il quale si sta cercando di costruire, pur non senza qualche irrigidimento, talvolta eccessivo, un terreno di più sereno confronto fra gruppi diversi (Baroncelli, 1996).
Un capitolo a parte è costituito dal ruolo del linguaggio nel rapporto fra maschi e femmine. Sappiamo infatti che la differenza di genere, come quella etnica, funziona come un elemento di forte discriminazione nei rapporti sociali, fondandosi su stereotipi largamente condivisi che trovano nel linguaggio il veicolo principale di riproduzione. Per questo motivo, in tema di rapporto fra i sessi, il “politically correct” si esprime innanzitutto nello sforzo di utilizzare un linguaggio che sia il più possibile neutro, che non porti con sé, com’è successo finora, l’implicita idea della superiorità maschile, ad esempio quella che gli uomini siano fatti “per l’azione e per il mondo” e le donne “per i sentimenti e per la casa”. Il fatto di usare il genere grammaticale maschile per riferirsi ad entrambi i generi sessuali, che è pratica molto comune e perfino codificata nella grammatica della nostra lingua, contiene evidentemente in sé l’idea che il maschile sia la norma, in grado di includere e rappresentare anche il femminile. Rimediare a questa situazione in alcuni casi è, con un po’ di buona volontà, abbastanza facile, ma in molti altri, soprattutto a causa della stessa struttura della lingua, la cosa risulta molto meno semplice. È facile, ad esempio, sostituire l’espressione “uomo” con quella di “essere umano”, laddove ci si riferisca alla specie nel suo insieme. È invece praticamente impossibile, nella lingua italiana, usare un soggetto neutro nelle frasi impersonali, come si sta invece tentando di fare nella lingua inglese, dove sempre più spesso il soggetto neutro è indicato con l’espressione “he or she”. L’italiano, infatti, prevede le concordanze di genere per aggettivi e verbi e non sarebbe praticamente possibile al parlante proseguire per intere proposizioni riportando in continuazione le due possibili variazioni lessicali.
I SISTEMI CULTURALI
Ma, oltre ai problemi legati alla lingua in sé, la comunicazione fra gruppi diversi risulta problematica (e dunque fonte di incomprensioni e tensioni, conferma degli stereotipi e rinforzo dell’ostilità reciproca) per il fatto che essa si basa su aspettative, su presupposizioni implicite, in definitiva su sistemi culturali differenti. Anche su questo terreno sono state evidenziate le difficoltà del dialogo fra uomini e donne, determinate dall’incessante interferenza delle aspettative di ruolo, dei differenti percorsi di socializzazione, dei sistemi di valori, dei diversi stili di relazione (Tannen, 1990). Ma è nel campo del rapporto fra appartenenti a gruppi etnici diversi che questo problema si pone con forza prorompente.
In questo caso, la comunicazione interpersonale rischia molto spesso di diventare un luogo in cui i contrasti, invece di affievolirsi, si acuiscono. Infatti, a parte le difficoltà legate alla traduzione che almeno uno degli interlocutori deve fare del proprio pensiero in un’altra lingua, la comunicazione può risultare poco efficace per tutta un’altra serie di motivi, legati alle differenze fra i codici culturali. La distanza fisica tra gli interlocutori, il modo in cui si occupa lo spazio, i confini del contatto corporeo, il codice del saluto, la forza con cui ci si stringe le mani. Poi il tono della voce, la direzione dello sguardo, lo scambio dei turni di parola, il modo in cui si segnala la propria attenzione e il proprio interesse a quello che l’altro dice. E, più in generale, il significato del tempo e della puntualità, l’orientamento culturale individualista o collettivista, la concezione della gerarchia e del potere.
Tutte queste dimensioni sono importantissime per la buona riuscita della comunicazione. Normalmente non ci creano problemi quando interagiamo con persone che condividono la nostra cultura, tanto che non ci rendiamo nemmeno conto della loro esistenza, ma rischiano di diventare ostacoli insormontabili nella comunicazione tra culture diverse (Balboni 1999). Per una cultura lo sguardo diretto negli occhi dell’interlocutore può essere indizio di interesse e sincerità, per un’altra può essere segnale di sfida e aggressività. In una cultura ci si può aspettare una risposta rapida, segno di attenzione e sollecitudine, mentre in un’altra una risposta di questo tipo può essere interpretata quasi come un segno di disprezzo per la domanda, giudicata non sufficientemente degna di riflessione. In queste condizioni l’interazione può alla fine risultare decisamente insoddisfacente per entrambi gli interlocutori. Ciascuno ne uscirà avendo rinforzato le proprie impressioni negative dell’altro. Che fare, allora?
Anche nel campo della comunicazione interculturale il punto di partenza per un miglioramento della situazione non può che essere costituito dal riconoscimento delle difficoltà e da una loro approfondita conoscenza.
Negare le differenze, in nome di un malinteso senso di universalismo, non serve certamente a capirsi meglio e spinge invece ad attribuire le incomprensioni a caratteristiche negative dell’altro. Occorre dunque impegnarsi a rendere espliciti i propri e gli altrui stili di comunicazione, i modi in cui i messaggi sono decodificati, le occasioni che generano incomprensioni, le modalità con le quali si gestisce complessivamente l’interazione, le norme culturali generali che stanno dietro all’incontro interpersonale (Gudykunst, 1994).
Si tratta ovviamente di un compito non semplice, che richiede competenze che il parlante comune non possiede. Ciò nonostante, se crediamo che il comportamento umano non sia preda passiva di istinti immodificabili, ma espressione di propensioni altamente flessibili ed educabili, è necessario che le istituzioni formative e quelle che si occupano a vario titolo di migliorare i rapporti fra le diverse culture si facciano promotrici di programmi di ricerca e di intervento rigorosi e scientificamente fondati. In questo campo la buona volontà, da sola, non basta. Spesso anzi finisce per venir meno, proprio per il fatto che si è operato senza tener conto della specificità e della forza di importanti variabili psicosociali.
Bruno M. Mazzara è Associato di Psicologia sociale presso la Facoltà di Sociologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Si occupa da tempo di pregiudizio e relazioni interetniche. Ha pubblicato, tra l’altro, Appartenenza e pregiudizio (Roma, Carocci, 1996), Stereotipi e pregiudizi (Bologna, Il Mulino, 1997), Le dimensioni sociali dei processi psicologici (con A. Contarello, Bari, Laterza, 2000).
Messaggio del 10-04-2011 alle ore 14:21:37
Per la Littizzetto il premio di Napolitano, per i preti che si fanno in quattro nel servire i più poveri il dileggio…
Posted: 07 Apr 2011 03:16 AM PDT
I cattolici sono indignati con Rai 3. Si sentono bersagliati ingiustamente e si sono stancati di subire in silenzio.
Prendo a simbolo un giovane prete, che chiamerò don Gianni, un bravissimo sacerdote che – fra le altre cose, insieme ad altri – si fa in quattro e dà letteralmente la vita, per aiutare immigrati, emarginati, “barboni” e tossicodipendenti.
L’ultimo episodio che ha fatto indignare lui e molti altri come lui, è stata l’incredibile invettiva contro la Chiesa fatta da Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”, domenica sera (che sta pure su Youtube).
E’ considerato un caso emblematico della tendenza di Rai 3, la rete simbolo dell’Italia ideologica. Il programma è quello di Fabio Fazio, programma cult della sinistra salottiera.
E’ noto che ogni domenica sera la Littizzetto fa le sue concioni avendo come spalla lo stesso Fazio.
Ebbene domenica, parlando di Lampedusa, a un certo punto – senza che c’entrasse nulla – la Luciana si è lanciata in un attacco congestionato contro la Chiesa, a proposito dell’arrivo dei clandestini tunisini, e ha urlato ai vescovi “dicano qualcosa su questa questione”.
I vescovi, a suo parere, stanno sempre a rompere “e adesso stanno zitti… fate qualcosa! Cosa fanno?”.
A me pare che non esista affatto l’obbligo per la Chiesa di farsi carico di tutti i clandestini che vengono dall’Africa.
In ogni caso il quotidiano dei vescovi, Avvenire, ieri ha sommessamente obiettato alla Littizzetto che la Chiesa non ha taciuto affatto e che proprio la scorsa settimana il segretario generale della Cei, monsignor Crociata ha convocato una conferenza stampa per informare che 93 diocesi hanno messo a disposizione strutture capaci di ospitare 2500 immigrati, caricando sulla Chiesa tutte le spese.
Ma questa risposta di Avvenire è uscita in ultima pagina, sussurrata e con un tono benevolo, sotto il titolo: “Chissà se Lucianina chiede scusa”.
Fatto sta che attacchi come quelli della Littizzetto sono stati visti e ascoltati da milioni di telespettatori e ben pochi avranno letto la documentata risposta di “Avvenire”.
Forse si può e si deve rispondere anche più energicamente. C’è chi vorrebbe pretendere le scuse del direttore di Rai 3 e soprattutto il diritto di replica.
In nome dei tantissimi sacerdoti, suore e cattolici laici che in questo Paese da sempre, 24 ore al giorno, sputano sangue per servire i più poveri ed emarginati e che poi si vedono le Littizzetto e tutta la congrega di intellettualini e giornalisti dei salotti progressisti che, dagli schermi tv, impartiscono loro lezioni di solidarietà.
Sì, perché la Littizzetto non si è limitata a questo assurdo attacco (condito di battute sul cardinal Ruini).
Poi, fra il dileggio e il rimprovero morale, si è addirittura impancata a seria maestra di teologia e ha preteso persino di evocare il “discorso della montagna” – citato del tutto a sproposito – per strillare ai vescovi e alla Chiesa: “ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, avevo sete e mi avete dato da bere… Il discorso della montagna lì non vale perché sono al mare?”.
E poi, sempre urlando, ha tuonato: “c’è la crisi delle vocazioni, ci sono seminari e conventi vuoti: fate posto e metteteli lì, che secondo me poi sono tutti contenti”.
Non sarebbe neanche il caso di segnalare che l’ignoranza della Littizzetto è pari alla sua arroganza, perché il “discorso della montagna” sta al capitolo 5 del Vangelo di Matteo, mentre i versetti citati da lei – che non c’entrano niente – stanno addirittura al capitolo 25 (quelli sul giudizio finale che non piacerebbero proprio alla comica di Rai 3).
Non sarebbe il caso di sottolineare la gaffe se la brutta sinistra che ci ritroviamo in Italia non avesse elevato comici come lei al rango di intellettuali e addirittura di maestri di etica e di civiltà.
Apprendo addirittura (da Internet) che “il 22 novembre 2007 Luciana Littizzetto ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il prestigioso premio De Sica, riservato alle personalità più in luce del momento nel mondo dello spettacolo e della cultura”.
Se queste sono le “personalità della cultura” che vengono premiate addirittura da Napolitano è davvero il caso di dire “povera Italia!”.
viene in mente Oscar Wilde: “Chi sa, fa. Chi non sa insegna”.
Chi conosce il Vangelo e lo vive, come il mio amico don Gianni, si fa in quattro per dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.
Chi invece non lo conosce, pretende di insegnarlo, lautamente pagato per le sue scenette comiche su Rai 3, e si lancia all’attacco dei “preti”.
Visto che sia la Littizzetto che Fazio – il quale ha assistito a questa filippica sugli immigrati senza obiettare, facendo ancora la spalla – mi risulta siano ben retribuiti e non vivano affatto nell’indigenza, vorrei sapere, da loro due, di quanti immigrati si fanno personalmente carico. Quanti ne ospitano a casa loro? Quanto danno o sono disposti a dare, dei loro redditi, per accogliere e spesare tunisini, libici e altri clandestini?
Considerata l’invettiva della Littizzetto e il suo pretendere che altri (la Chiesa) ospitino gli immigrati a casa loro, non posso credere che lei per prima non faccia altrettanto.
Sarebbe veramente una spudoratezza inaccettabile.
Vorrebbe allora – gentile signora Luciana – mostrarci la sua bella casa piena di tunisini che lei avrà sicuramente ospitato?
La Chiesa non ha certo bisogno delle lezioni di “Che tempo che fa” per spalancare le sue braccia a chi non ha niente. Lo fa da duemila anni.
E dà pure per scontato che il mondo non se ne accorga e neanche la ringrazi. Ma che addirittura debba essere bersagliata dalle lezioncine è inaccettabile, soprattutto poi se a farle fossero persone che non muovono dito per i più poveri.
Intellettuali, comici e giornalisti dei salotti progressisti che spesso schifano l’italiano medio (e anzitutto i cattolici), che stanno sempre sul pulpito, col ditino alzato, a impartire lezioni di morale, di solito non vivono nell’indigenza.
Molti di loro trascorrono le giornate fra gli agi, in belle case e al riparo di cospicui conti in banca. Qualcuno – come si è saputo di recente – si avventura pure in investimenti sbagliati. Temerari.
Io non so come vivano loro la solidarietà. Ma a me personalmente non è mai capitato di trovarne uno che fosse disposto a coinvolgersi in iniziative di solidarietà e di carità verso i più infelici quando le ho proposte loro.
Ce ne saranno, ma io non ne ho mai trovati. Prima di impancarsi a maestri e censori degli altri, non sarebbe il caso che anzitutto testimoniassero ciò che fanno loro personalmente?
Noi cattolici educhiamo i nostri figli alla carità come dimensione vera della vita.
Mio figlio di 14 anni trascorre il sabato mattina con altri coetanei, insieme a don Andrea, a portare generi alimentari a barboni e famiglie indigenti. E a far loro compagnia.
Don Andrea educa i suoi ragazzi portandoli anche con le suore di Madre Teresa che vanno a cercare i clochard, se ne prendono cura, li lavano, li medicano, mi rifocillano.
Io non ho mai visto un solo intellettuale di sinistra lavare un barbone. Invece i preti, le suore e i cattolici che lo fanno sono tantissimi.
Sono persone che fin da giovani hanno deciso di donare totalmente la loro vita, per amore di Gesù Cristo.
rinunciato a una propria famiglia, vivono nella povertà (i preti, titolati con studi ben superiori alla media, vivono con 800 euro al mese) e servono l’umanità per portare a tutti la carezza del Nazareno.
La Chiesa sono questi uomini e queste donne. E’ di questi che straparlano spesso certi intellettuali da salotto.
Non so quanto se ne rendano conto, soddisfatti e compiaciuti come sono di se stessi. Non so se sono ancora in grado di provare un po’ di vergogna.
Ma so che questa sinistra intellettuale (quella – per capirci – che se la prende con i crocifissi e che sta sempre contro la Chiesa) fa davvero pena, fa tristezza.
Certamente è quanto ci sia di più lontano dai cristiani.
Antonio Socci
Da “Libero”, 7 aprile 2011
Per la Littizzetto il premio di Napolitano, per i preti che si fanno in quattro nel servire i più poveri il dileggio…
Posted: 07 Apr 2011 03:16 AM PDT
I cattolici sono indignati con Rai 3. Si sentono bersagliati ingiustamente e si sono stancati di subire in silenzio.
Prendo a simbolo un giovane prete, che chiamerò don Gianni, un bravissimo sacerdote che – fra le altre cose, insieme ad altri – si fa in quattro e dà letteralmente la vita, per aiutare immigrati, emarginati, “barboni” e tossicodipendenti.
L’ultimo episodio che ha fatto indignare lui e molti altri come lui, è stata l’incredibile invettiva contro la Chiesa fatta da Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”, domenica sera (che sta pure su Youtube).
E’ considerato un caso emblematico della tendenza di Rai 3, la rete simbolo dell’Italia ideologica. Il programma è quello di Fabio Fazio, programma cult della sinistra salottiera.
E’ noto che ogni domenica sera la Littizzetto fa le sue concioni avendo come spalla lo stesso Fazio.
Ebbene domenica, parlando di Lampedusa, a un certo punto – senza che c’entrasse nulla – la Luciana si è lanciata in un attacco congestionato contro la Chiesa, a proposito dell’arrivo dei clandestini tunisini, e ha urlato ai vescovi “dicano qualcosa su questa questione”.
I vescovi, a suo parere, stanno sempre a rompere “e adesso stanno zitti… fate qualcosa! Cosa fanno?”.
A me pare che non esista affatto l’obbligo per la Chiesa di farsi carico di tutti i clandestini che vengono dall’Africa.
In ogni caso il quotidiano dei vescovi, Avvenire, ieri ha sommessamente obiettato alla Littizzetto che la Chiesa non ha taciuto affatto e che proprio la scorsa settimana il segretario generale della Cei, monsignor Crociata ha convocato una conferenza stampa per informare che 93 diocesi hanno messo a disposizione strutture capaci di ospitare 2500 immigrati, caricando sulla Chiesa tutte le spese.
Ma questa risposta di Avvenire è uscita in ultima pagina, sussurrata e con un tono benevolo, sotto il titolo: “Chissà se Lucianina chiede scusa”.
Fatto sta che attacchi come quelli della Littizzetto sono stati visti e ascoltati da milioni di telespettatori e ben pochi avranno letto la documentata risposta di “Avvenire”.
Forse si può e si deve rispondere anche più energicamente. C’è chi vorrebbe pretendere le scuse del direttore di Rai 3 e soprattutto il diritto di replica.
In nome dei tantissimi sacerdoti, suore e cattolici laici che in questo Paese da sempre, 24 ore al giorno, sputano sangue per servire i più poveri ed emarginati e che poi si vedono le Littizzetto e tutta la congrega di intellettualini e giornalisti dei salotti progressisti che, dagli schermi tv, impartiscono loro lezioni di solidarietà.
Sì, perché la Littizzetto non si è limitata a questo assurdo attacco (condito di battute sul cardinal Ruini).
Poi, fra il dileggio e il rimprovero morale, si è addirittura impancata a seria maestra di teologia e ha preteso persino di evocare il “discorso della montagna” – citato del tutto a sproposito – per strillare ai vescovi e alla Chiesa: “ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, avevo sete e mi avete dato da bere… Il discorso della montagna lì non vale perché sono al mare?”.
E poi, sempre urlando, ha tuonato: “c’è la crisi delle vocazioni, ci sono seminari e conventi vuoti: fate posto e metteteli lì, che secondo me poi sono tutti contenti”.
Non sarebbe neanche il caso di segnalare che l’ignoranza della Littizzetto è pari alla sua arroganza, perché il “discorso della montagna” sta al capitolo 5 del Vangelo di Matteo, mentre i versetti citati da lei – che non c’entrano niente – stanno addirittura al capitolo 25 (quelli sul giudizio finale che non piacerebbero proprio alla comica di Rai 3).
Non sarebbe il caso di sottolineare la gaffe se la brutta sinistra che ci ritroviamo in Italia non avesse elevato comici come lei al rango di intellettuali e addirittura di maestri di etica e di civiltà.
Apprendo addirittura (da Internet) che “il 22 novembre 2007 Luciana Littizzetto ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il prestigioso premio De Sica, riservato alle personalità più in luce del momento nel mondo dello spettacolo e della cultura”.
Se queste sono le “personalità della cultura” che vengono premiate addirittura da Napolitano è davvero il caso di dire “povera Italia!”.
viene in mente Oscar Wilde: “Chi sa, fa. Chi non sa insegna”.
Chi conosce il Vangelo e lo vive, come il mio amico don Gianni, si fa in quattro per dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati.
Chi invece non lo conosce, pretende di insegnarlo, lautamente pagato per le sue scenette comiche su Rai 3, e si lancia all’attacco dei “preti”.
Visto che sia la Littizzetto che Fazio – il quale ha assistito a questa filippica sugli immigrati senza obiettare, facendo ancora la spalla – mi risulta siano ben retribuiti e non vivano affatto nell’indigenza, vorrei sapere, da loro due, di quanti immigrati si fanno personalmente carico. Quanti ne ospitano a casa loro? Quanto danno o sono disposti a dare, dei loro redditi, per accogliere e spesare tunisini, libici e altri clandestini?
Considerata l’invettiva della Littizzetto e il suo pretendere che altri (la Chiesa) ospitino gli immigrati a casa loro, non posso credere che lei per prima non faccia altrettanto.
Sarebbe veramente una spudoratezza inaccettabile.
Vorrebbe allora – gentile signora Luciana – mostrarci la sua bella casa piena di tunisini che lei avrà sicuramente ospitato?
La Chiesa non ha certo bisogno delle lezioni di “Che tempo che fa” per spalancare le sue braccia a chi non ha niente. Lo fa da duemila anni.
E dà pure per scontato che il mondo non se ne accorga e neanche la ringrazi. Ma che addirittura debba essere bersagliata dalle lezioncine è inaccettabile, soprattutto poi se a farle fossero persone che non muovono dito per i più poveri.
Intellettuali, comici e giornalisti dei salotti progressisti che spesso schifano l’italiano medio (e anzitutto i cattolici), che stanno sempre sul pulpito, col ditino alzato, a impartire lezioni di morale, di solito non vivono nell’indigenza.
Molti di loro trascorrono le giornate fra gli agi, in belle case e al riparo di cospicui conti in banca. Qualcuno – come si è saputo di recente – si avventura pure in investimenti sbagliati. Temerari.
Io non so come vivano loro la solidarietà. Ma a me personalmente non è mai capitato di trovarne uno che fosse disposto a coinvolgersi in iniziative di solidarietà e di carità verso i più infelici quando le ho proposte loro.
Ce ne saranno, ma io non ne ho mai trovati. Prima di impancarsi a maestri e censori degli altri, non sarebbe il caso che anzitutto testimoniassero ciò che fanno loro personalmente?
Noi cattolici educhiamo i nostri figli alla carità come dimensione vera della vita.
Mio figlio di 14 anni trascorre il sabato mattina con altri coetanei, insieme a don Andrea, a portare generi alimentari a barboni e famiglie indigenti. E a far loro compagnia.
Don Andrea educa i suoi ragazzi portandoli anche con le suore di Madre Teresa che vanno a cercare i clochard, se ne prendono cura, li lavano, li medicano, mi rifocillano.
Io non ho mai visto un solo intellettuale di sinistra lavare un barbone. Invece i preti, le suore e i cattolici che lo fanno sono tantissimi.
Sono persone che fin da giovani hanno deciso di donare totalmente la loro vita, per amore di Gesù Cristo.
rinunciato a una propria famiglia, vivono nella povertà (i preti, titolati con studi ben superiori alla media, vivono con 800 euro al mese) e servono l’umanità per portare a tutti la carezza del Nazareno.
La Chiesa sono questi uomini e queste donne. E’ di questi che straparlano spesso certi intellettuali da salotto.
Non so quanto se ne rendano conto, soddisfatti e compiaciuti come sono di se stessi. Non so se sono ancora in grado di provare un po’ di vergogna.
Ma so che questa sinistra intellettuale (quella – per capirci – che se la prende con i crocifissi e che sta sempre contro la Chiesa) fa davvero pena, fa tristezza.
Certamente è quanto ci sia di più lontano dai cristiani.
Antonio Socci
Da “Libero”, 7 aprile 2011
Messaggio del 10-04-2011 alle ore 14:24:44
Siccome "Libero" segue la maggioranza e Antonio Socci è cattolico, tutti a criticare "Libero" e Antonio Socci...
O no?
Siccome "Libero" segue la maggioranza e Antonio Socci è cattolico, tutti a criticare "Libero" e Antonio Socci...
O no?
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 12:26:35
IIITALIANNNNNIII VVVII PPIISSSSIIIOO INN BOGGGAAAA
e a quanto pare ci stanno riuscendo, e anche molto bene
WWWW LA FRANCIA
IIITALIANNNNNIII VVVII PPIISSSSIIIOO INN BOGGGAAAA
e a quanto pare ci stanno riuscendo, e anche molto bene
WWWW LA FRANCIA
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 13:13:08
Socci non è cattolico... è ciellino
Socci non è cattolico... è ciellino
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 14:06:40
GUARDATE CHE BOSSI NON SI RIFERIVA AI TUNISINI, lui vuole mandare fuori dalle palle tutta quei "cafunacc" che impestano l'italia. Io sono d'accordo con Lui meglio un Tunisino che nu cafunacc attorn a la cas...
GUARDATE CHE BOSSI NON SI RIFERIVA AI TUNISINI, lui vuole mandare fuori dalle palle tutta quei "cafunacc" che impestano l'italia. Io sono d'accordo con Lui meglio un Tunisino che nu cafunacc attorn a la cas...
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 14:11:00
MICHEMIOOOOOOOOOOOO, LUCAAAAAAAAAA anchio ho avuto la A112 quella "Elegant" ovviamente, rossa con il tetto color bianco latte. Filava come il vento....bruciava la marmitta ogni anno.... ma era una macchina eccezionale. Ricordo ancora il numero di targa CH 118228.
MICHEMIOOOOOOOOOOOO, LUCAAAAAAAAAA anchio ho avuto la A112 quella "Elegant" ovviamente, rossa con il tetto color bianco latte. Filava come il vento....bruciava la marmitta ogni anno.... ma era una macchina eccezionale. Ricordo ancora il numero di targa CH 118228.
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 14:16:37
Cosa ha Fatto "LIBERO" io lo leggo tutti i giorni ed è un ottimo giornale di approfondimento politico. Cosa dovre leggere i giornali di sinistra scritti da quattro "checche isteriche" moraliste, bacchettone che si farebbero trombare dal silvio a scatala chiusa.
Cosa ha Fatto "LIBERO" io lo leggo tutti i giorni ed è un ottimo giornale di approfondimento politico. Cosa dovre leggere i giornali di sinistra scritti da quattro "checche isteriche" moraliste, bacchettone che si farebbero trombare dal silvio a scatala chiusa.
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 14:56:22
DENIRO l A112 abarth....fu' la prima auto di mio fratello, la compro' di seconda mano .......verde bottiglia con i cofani neri........una scheggia, faceva 180 km/h .......un mito
DENIRO l A112 abarth....fu' la prima auto di mio fratello, la compro' di seconda mano .......verde bottiglia con i cofani neri........una scheggia, faceva 180 km/h .......un mito
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 15:15:29
Ua, non è perchè segue la maggioranza che Libero va criticato, si critica benissimo da solo per le puttanate che scrive spesso e volentieri, altro che politica, è un'offesa a chi crede nella politica.
Semplice ricerca su google:
Libero giornale puttanate
Buona lettura.
Ua, non è perchè segue la maggioranza che Libero va criticato, si critica benissimo da solo per le puttanate che scrive spesso e volentieri, altro che politica, è un'offesa a chi crede nella politica.
Semplice ricerca su google:
Libero giornale puttanate
Buona lettura.
Messaggio del 11-04-2011 alle ore 23:04:54
la mia era grigia metallizzataaaa
un bolide che a 180 sembrava stesse per prendere quotaaaaaa
annni8000000
la mia era grigia metallizzataaaa
un bolide che a 180 sembrava stesse per prendere quotaaaaaa
annni8000000
Nuova reply all'argomento:
FORA D'I BALL
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