Cultura & Attualità
storia di un pellicano
Messaggio del 20-04-2011 alle ore 13:16:00
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Marea Nera: un anno fa il disastro nel Golfo
Undici morti, 5 milioni di barili in mare, danni per miliardi
16 aprile, 19:54
Danni a catena alimentare. Natura soffrira' 50 anni
Marea Nera: un anno fa il disastro nel Golfo
di Luciano Clerico
NEW YORK- E' passato un anno. Mercoledi' prossimo saranno trascorsi esattamente 365 giorni dal momento in cui sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, posizionata a 66 chilometri al largo delle coste della Louisiana, un' esplosione squarciava la notte del Golfo del Messico e la struttura dell' impianto. Erano le 21:45: aveva inizio in quel momento al largo di New Orleans quello che si sarebbe trasformato nel piu' grave disastro ecologico della storia. Quell'esplosione, dovuta al mancato funzionamento di una pompa idraulica, ha causato non solo 11 morti e 17 feriti. Ha provocato anche la piu' inarrestabile fuga di petrolio mai vista, un fiume nero che giorno dopo giorno e' sfociato nel Golfo del Messico fino ad occuparlo quasi per meta'.
Gli esperti hanno calcolato in 5 milioni i barili di petrolio finiti in mare. L'intera industria marittima di tre Stati (Louisiana, Mississippi e Texas, senza tener conto dei danni provocati in Florida) e' stata messa in ginocchio e la potente America ha assistito, impotente, all'aggravarsi di una catastrofe ambientale senza precedenti nel mondo. Neppure il disastro provocato nel 1989 sulle coste dell'Alaska dalla petroliera Exxon Valdez aveva avuto conseguenze cosi' gravi. Quella piattaforma, costruita in Corea del Sud dalla Hyundai Heavy Industries, era di proprieta' della societa' svizzera Transocean ed era stata affittata due anni prima dalla britannica BP per procedere alle trivellazioni del pozzo Macondo, un pozzo che si trova ad una profondita' di circa 1.500 metri. Prima dell'incidente, la BP estraeva dal pozzo 8 mila barili di petrolio al giorno. Che, da un giorno all'altro, hanno cominciato inesorabilmente a finire in mare. Inizialmente la portata dell'incidente fu sottostimata.
I soccorsi seguirono le abituali procedure previste in questi casi. Solo quando, due giorni dopo l'incidente, la colossale piattaforma affondo', i tecnici si resero conto della gravita' potenzialmente epocale del disastro: da uno dei tubi della piattaforma squarciatisi nell'esplosione il petrolio continuava ad uscire a enormi fiotti (50 mila barili al giorno). Solo che ora la piattaforma era sul fondo del mare, a 1.500 mt di profondita'. Mettere un 'tappo' a quella falla non sarebbe stato un lavoro facile. Gli ingegneri capirono subito: sarebbe stato un incubo. Cosi' e' stato: i tecnici della BP hanno lavorato l'intera estate prima di riuscire a fermare quel petrolio che saliva dal fondo del mare. Dopo svariati tentativi, il tamponamento definitivo della perdita e' stato messo in atto con successo soltanto il 19 settembre.
Per i precedenti cinque mesi un fiume di oltre 780 milioni di litri di petrolio ha avvelenato le acque e le coste del Golfo del Messico. Nel dichiarare BP responsabile del disastro, gli Usa hanno raggiunto con il gruppo petrolifero un accordo per la costituzione di un fondo iniziale di 20 miliardi di dollari per risarcimento danni. BP dal canto suo ha dichiarato spese per 8 miliardi di collari per contenere il petrolio e perdite per 3,95 miliardi. Come altre compagnie petrolifere, ha gia' ripresentato domanda per riprendere le trivellazioni.
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La natura soffrira' per 50 anni
17 aprile, 16:47
Danni a catena alimentare. Natura soffrira' 50 anni
Guarda la foto 1 di 1
di Tommaso Tetro
Perdite economiche che sfiorano ad oggi i 5 miliardi di dollari e la natura che paghera' pegno per i prossimi 50 anni creando sofferenze alla maggior parte delle specie animali e vegetali. Questo il bilancio del disastroso incidente che un anno fa, il 20 aprile 2010, porto' prima all'incendio e poi all'affondamento della piattaforma petrolifera della British Petroleum (Bp) nel Golfo del Messico, la 'Deepwater Horizon', provocando la fuoriuscita di 5 milioni di barili di greggio nelle acque dell'oceano Atlantico. I danni visibili si possono quantificare guardando all'invasione della marea nera lungo la costa sud degli Usa, in particolare in Louisiana: un'intera economia di pescatori spazzata via, allevamenti di gamberi e ostriche completamente cancellati, ecosistemi di coralli corrosi, habitat di uccelli trasformati in sabbie mobili, un'intera catena alimentare rallentata nel suo ritmo abituale e che deve lentamente ricostruirsi. In particolare, i rischi maggiori riguardano molluschi, crostacei e pesci, e maggiormente quelli che si trovano a stadi giovanili di vita o entrano in contatto con larve contaminate. Da ultimo le stragi di cetacei (circa 5.000 secondo un recente studio della Brtish Columbia) e di delfini sulle coste dell'Alabama e del Mississippi.
Quello che non si vede, pero', del disastro ecologico, causato da una falla a oltre 1.500 metri di profondita', sono i danni 'invisibili' come, per esempio, i 7 milioni di litri di solventi chimici buttati nell'oceano sulle chiazze oleose 'nere' con la speranza che potesse venir contenuta l'espansione. E i danni, secondo una ricerca coordinata dal Noaa (l'Agenzia americana che studia oceani e atmosfera), non si limiterebbero alle acque e alle coste ma giungerebbero anche in atmosfera per via di una colonna di 'inquinamento' aerea creata dall'evaporazione del petrolio. Il delicato ecosistema naturale dell'area - ha spiegato un esperto del Wwf Italia nel fare un'analisi dell'incidente - prima di riuscire a trovare un nuovo equilibrio, 'mangiando' quanto rimane del petrolio, impieghera' una cinquantina di anni. Infatti, a fronte del deficit ecologico provocato dagli oltre 780 milioni di litri di petrolio finiti nell'Atlantico, la natura dovra' 'digerire' il greggio ingurgitato ripulendosi dal piu' grave disastro ecologico di sempre nel campo degli incidenti petroliferi. Da ultimo sembra pero' che gli sforzi delle popolazioni costiere degli Stati Uniti vengano ripagati, almeno nelle speranze. Come a Chauvin, un villaggio del delta del Mississippi dove sembra che la marea nera sia stata tenuta a bada dalle acque del fiume in uscita, e dove da poco ha 'riaperto' la pesca ai gamberi.
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Marea Nera: un anno fa il disastro nel Golfo
Undici morti, 5 milioni di barili in mare, danni per miliardi
16 aprile, 19:54
Danni a catena alimentare. Natura soffrira' 50 anni
Marea Nera: un anno fa il disastro nel Golfo
di Luciano Clerico
NEW YORK- E' passato un anno. Mercoledi' prossimo saranno trascorsi esattamente 365 giorni dal momento in cui sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, posizionata a 66 chilometri al largo delle coste della Louisiana, un' esplosione squarciava la notte del Golfo del Messico e la struttura dell' impianto. Erano le 21:45: aveva inizio in quel momento al largo di New Orleans quello che si sarebbe trasformato nel piu' grave disastro ecologico della storia. Quell'esplosione, dovuta al mancato funzionamento di una pompa idraulica, ha causato non solo 11 morti e 17 feriti. Ha provocato anche la piu' inarrestabile fuga di petrolio mai vista, un fiume nero che giorno dopo giorno e' sfociato nel Golfo del Messico fino ad occuparlo quasi per meta'.
Gli esperti hanno calcolato in 5 milioni i barili di petrolio finiti in mare. L'intera industria marittima di tre Stati (Louisiana, Mississippi e Texas, senza tener conto dei danni provocati in Florida) e' stata messa in ginocchio e la potente America ha assistito, impotente, all'aggravarsi di una catastrofe ambientale senza precedenti nel mondo. Neppure il disastro provocato nel 1989 sulle coste dell'Alaska dalla petroliera Exxon Valdez aveva avuto conseguenze cosi' gravi. Quella piattaforma, costruita in Corea del Sud dalla Hyundai Heavy Industries, era di proprieta' della societa' svizzera Transocean ed era stata affittata due anni prima dalla britannica BP per procedere alle trivellazioni del pozzo Macondo, un pozzo che si trova ad una profondita' di circa 1.500 metri. Prima dell'incidente, la BP estraeva dal pozzo 8 mila barili di petrolio al giorno. Che, da un giorno all'altro, hanno cominciato inesorabilmente a finire in mare. Inizialmente la portata dell'incidente fu sottostimata.
I soccorsi seguirono le abituali procedure previste in questi casi. Solo quando, due giorni dopo l'incidente, la colossale piattaforma affondo', i tecnici si resero conto della gravita' potenzialmente epocale del disastro: da uno dei tubi della piattaforma squarciatisi nell'esplosione il petrolio continuava ad uscire a enormi fiotti (50 mila barili al giorno). Solo che ora la piattaforma era sul fondo del mare, a 1.500 mt di profondita'. Mettere un 'tappo' a quella falla non sarebbe stato un lavoro facile. Gli ingegneri capirono subito: sarebbe stato un incubo. Cosi' e' stato: i tecnici della BP hanno lavorato l'intera estate prima di riuscire a fermare quel petrolio che saliva dal fondo del mare. Dopo svariati tentativi, il tamponamento definitivo della perdita e' stato messo in atto con successo soltanto il 19 settembre.
Per i precedenti cinque mesi un fiume di oltre 780 milioni di litri di petrolio ha avvelenato le acque e le coste del Golfo del Messico. Nel dichiarare BP responsabile del disastro, gli Usa hanno raggiunto con il gruppo petrolifero un accordo per la costituzione di un fondo iniziale di 20 miliardi di dollari per risarcimento danni. BP dal canto suo ha dichiarato spese per 8 miliardi di collari per contenere il petrolio e perdite per 3,95 miliardi. Come altre compagnie petrolifere, ha gia' ripresentato domanda per riprendere le trivellazioni.
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17 aprile, 16:47
Danni a catena alimentare. Natura soffrira' 50 anni
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di Tommaso Tetro
Perdite economiche che sfiorano ad oggi i 5 miliardi di dollari e la natura che paghera' pegno per i prossimi 50 anni creando sofferenze alla maggior parte delle specie animali e vegetali. Questo il bilancio del disastroso incidente che un anno fa, il 20 aprile 2010, porto' prima all'incendio e poi all'affondamento della piattaforma petrolifera della British Petroleum (Bp) nel Golfo del Messico, la 'Deepwater Horizon', provocando la fuoriuscita di 5 milioni di barili di greggio nelle acque dell'oceano Atlantico. I danni visibili si possono quantificare guardando all'invasione della marea nera lungo la costa sud degli Usa, in particolare in Louisiana: un'intera economia di pescatori spazzata via, allevamenti di gamberi e ostriche completamente cancellati, ecosistemi di coralli corrosi, habitat di uccelli trasformati in sabbie mobili, un'intera catena alimentare rallentata nel suo ritmo abituale e che deve lentamente ricostruirsi. In particolare, i rischi maggiori riguardano molluschi, crostacei e pesci, e maggiormente quelli che si trovano a stadi giovanili di vita o entrano in contatto con larve contaminate. Da ultimo le stragi di cetacei (circa 5.000 secondo un recente studio della Brtish Columbia) e di delfini sulle coste dell'Alabama e del Mississippi.
Quello che non si vede, pero', del disastro ecologico, causato da una falla a oltre 1.500 metri di profondita', sono i danni 'invisibili' come, per esempio, i 7 milioni di litri di solventi chimici buttati nell'oceano sulle chiazze oleose 'nere' con la speranza che potesse venir contenuta l'espansione. E i danni, secondo una ricerca coordinata dal Noaa (l'Agenzia americana che studia oceani e atmosfera), non si limiterebbero alle acque e alle coste ma giungerebbero anche in atmosfera per via di una colonna di 'inquinamento' aerea creata dall'evaporazione del petrolio. Il delicato ecosistema naturale dell'area - ha spiegato un esperto del Wwf Italia nel fare un'analisi dell'incidente - prima di riuscire a trovare un nuovo equilibrio, 'mangiando' quanto rimane del petrolio, impieghera' una cinquantina di anni. Infatti, a fronte del deficit ecologico provocato dagli oltre 780 milioni di litri di petrolio finiti nell'Atlantico, la natura dovra' 'digerire' il greggio ingurgitato ripulendosi dal piu' grave disastro ecologico di sempre nel campo degli incidenti petroliferi. Da ultimo sembra pero' che gli sforzi delle popolazioni costiere degli Stati Uniti vengano ripagati, almeno nelle speranze. Come a Chauvin, un villaggio del delta del Mississippi dove sembra che la marea nera sia stata tenuta a bada dalle acque del fiume in uscita, e dove da poco ha 'riaperto' la pesca ai gamberi.
Messaggio del 20-04-2011 alle ore 13:08:34
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Marea Nera, un anno da catastrofe
Bruxelles prepara stretta su pozzi offshore
20 aprile, 10:30
Marea Nera, un anno da catastrofe
BRUXELLES - A un anno dal disastro ambientale del Golfo del Messico, Bruxelles e' pronta a proporre una stretta sulle regole per la sicurezza degli impianti petroliferi offshore. Per prevenire il ripetersi di analoghe catastrofi nelle acque del Mediterraneo o del Mare del Nord, la Commissione europea presentera' a luglio un pacchetto di proposte, a partire dal principio che ''chi inquina paga''. Attualmente infatti questa responsabilita' si applica solo entro le 12 miglia dalla costa. ''Gli impianti offshore si trovano spesso piu' lontani - riferiscono fonti della Commissione Ue - e quindi la proposta e' quella di estendere il limite alle 200 miglia'', pagando i relativi danni provocati all'ecosistema marino.
Come fa una ditta a sostenere i costi? Al vaglio di Bruxelles ci sono diverse opzioni, dalla definizione dei criteri per l'assicurazione ad un fondo realizzato dalle industrie del settore, perche' non siano i cittadini europei a pagare. Un'altra proposta invece e' quella di includere nell'ambito di applicazione delle norme sulla sicurezza dei prodotti offshore anche gli impianti ''mobili'' per il trasporto del petrolio, come quello del Golfo del Messico. ''Nell'Ue solo nel Mare del Nord - aggiungono le fonti - ci sono 53 impianti di questo tipo e nel Mediterraneo sono 14. Quindi c'e' il rischio che vengano impiegati prodotti di bassa qualita', non coperti dalla direttiva. Cosi' invece tutti dovranno rispondere agli stessi standard''. Un'altra proposta prevede la creazione di una banca dati obbligatoria degli incidenti, ma anche delle soluzioni adottate, per poter intervenire in caso di emergenza sulla base di precedenti esperienze.
che paga? chi? cosa? ....... non ci salviamo
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Marea Nera, un anno da catastrofe
Bruxelles prepara stretta su pozzi offshore
20 aprile, 10:30
Marea Nera, un anno da catastrofe
BRUXELLES - A un anno dal disastro ambientale del Golfo del Messico, Bruxelles e' pronta a proporre una stretta sulle regole per la sicurezza degli impianti petroliferi offshore. Per prevenire il ripetersi di analoghe catastrofi nelle acque del Mediterraneo o del Mare del Nord, la Commissione europea presentera' a luglio un pacchetto di proposte, a partire dal principio che ''chi inquina paga''. Attualmente infatti questa responsabilita' si applica solo entro le 12 miglia dalla costa. ''Gli impianti offshore si trovano spesso piu' lontani - riferiscono fonti della Commissione Ue - e quindi la proposta e' quella di estendere il limite alle 200 miglia'', pagando i relativi danni provocati all'ecosistema marino.
Come fa una ditta a sostenere i costi? Al vaglio di Bruxelles ci sono diverse opzioni, dalla definizione dei criteri per l'assicurazione ad un fondo realizzato dalle industrie del settore, perche' non siano i cittadini europei a pagare. Un'altra proposta invece e' quella di includere nell'ambito di applicazione delle norme sulla sicurezza dei prodotti offshore anche gli impianti ''mobili'' per il trasporto del petrolio, come quello del Golfo del Messico. ''Nell'Ue solo nel Mare del Nord - aggiungono le fonti - ci sono 53 impianti di questo tipo e nel Mediterraneo sono 14. Quindi c'e' il rischio che vengano impiegati prodotti di bassa qualita', non coperti dalla direttiva. Cosi' invece tutti dovranno rispondere agli stessi standard''. Un'altra proposta prevede la creazione di una banca dati obbligatoria degli incidenti, ma anche delle soluzioni adottate, per poter intervenire in caso di emergenza sulla base di precedenti esperienze.
che paga? chi? cosa? ....... non ci salviamo
Messaggio del 20-04-2011 alle ore 12:40:45
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Gli uccelli, vittime dimenticate: storia di un pellicano
20 aprile, 10:29
NEW YORK - Sono morti in oltre 7mila e sono le vittime dimenticate del dramma della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera della Bp. Tra le tante tragedie causate dalla marea nera nel Golfo del Messico ce ne e' una infatti che il mondo ha ignorato, o almeno dimenticato e sottovalutato. Piu' di 7mila uccelli sono stati uccisi dal petrolio fuoriuscito dopo lo scoppio della piattaforma della British Petroleum il 20 aprile dell'anno scorso, provocando una delle maggiori catastrofi ecologiche mondiali. E' una storia di cui si e' parlato troppo poco e per rimediarvi la rete tv americana via cavo HBO ha deciso di mandare in onda, in coincidenza esatta con il primo anniversario del dramma, 'Saving Pelican 895' (Il salvataggio del pellicano 895), un documentario di Irene Taylor Brodsky.
E' una storia tutto sommato a lieto fine, perche' il pellicano protagonista e' stato salvato. Il film racconta lo sforzo dei volontari e degli esperti del Fort Jackson Oiled Wildlife Rehabilitation Center of Louisiana, il centro recupero allestito vicino al Delta del Mississippi per ripulire gli uccelli dalle macchie di petrolio. La star e' il pellicano marrone, l'uccello ufficiale dello stato della Louisiana, il cui salvataggio ha assunto un rilievo particolare perche' alla meta' del secolo scorso era gia' una volta andato in estinzione a causa dell'eccessivo inquinamento.
Solo nel 2009, grazie al lavoro di un gruppo di biologi, il pellicano marrone era stato rimosso dalla lista delle specie a rischio. E' stata una vittoria di Pirro perche' cinque mesi dopo lo scoppio della piattaforma Deepwater Horizon e la fuoriuscita in mare di milioni di litri di petrolio ne ha compromesso di nuovo l'habitat naturale. 'Saving Pelican 895' racconta la storia di un pellicano in particolare, 'LA 895' (dove LA sta per lo stato della Louisiana).
Il documentario segue il percorso di 'LA 895' dal momento della cattura da parte della squadra di soccorso di Fort Jackson fino al suo rilascio. Un lavoro paziente di mesi, durante i quali il pellicano viene curato, lavato, nutrito e poi finalmente rimesso in liberta'. Purtroppo non tutti sono stati fortunati come 'LA 895', perche' il pellicano marrone spesso non sopravvive se allontanato dal suo habitat naturale. Grazie all'impegno dei volontari che hanno lavorato per mesi, sono stati salvati e rimessi in liberta' 1246 uccelli scongiurando cosi per il pellicano marrone il rischio di una nuova estinzione. Irene Taylor Brodsky e' una regista stimata negli Stati Uniti: nel 2009 aveva ottenuto una nomination all'Oscar per 'The Final Inch', mentre due anni prima il suo lungometraggio, 'Hear and Now', (2007) aveva vinto il premio del pubblico al Sundance Film Festival del cinema indipendente
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Gli uccelli, vittime dimenticate: storia di un pellicano
20 aprile, 10:29
NEW YORK - Sono morti in oltre 7mila e sono le vittime dimenticate del dramma della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera della Bp. Tra le tante tragedie causate dalla marea nera nel Golfo del Messico ce ne e' una infatti che il mondo ha ignorato, o almeno dimenticato e sottovalutato. Piu' di 7mila uccelli sono stati uccisi dal petrolio fuoriuscito dopo lo scoppio della piattaforma della British Petroleum il 20 aprile dell'anno scorso, provocando una delle maggiori catastrofi ecologiche mondiali. E' una storia di cui si e' parlato troppo poco e per rimediarvi la rete tv americana via cavo HBO ha deciso di mandare in onda, in coincidenza esatta con il primo anniversario del dramma, 'Saving Pelican 895' (Il salvataggio del pellicano 895), un documentario di Irene Taylor Brodsky.
E' una storia tutto sommato a lieto fine, perche' il pellicano protagonista e' stato salvato. Il film racconta lo sforzo dei volontari e degli esperti del Fort Jackson Oiled Wildlife Rehabilitation Center of Louisiana, il centro recupero allestito vicino al Delta del Mississippi per ripulire gli uccelli dalle macchie di petrolio. La star e' il pellicano marrone, l'uccello ufficiale dello stato della Louisiana, il cui salvataggio ha assunto un rilievo particolare perche' alla meta' del secolo scorso era gia' una volta andato in estinzione a causa dell'eccessivo inquinamento.
Solo nel 2009, grazie al lavoro di un gruppo di biologi, il pellicano marrone era stato rimosso dalla lista delle specie a rischio. E' stata una vittoria di Pirro perche' cinque mesi dopo lo scoppio della piattaforma Deepwater Horizon e la fuoriuscita in mare di milioni di litri di petrolio ne ha compromesso di nuovo l'habitat naturale. 'Saving Pelican 895' racconta la storia di un pellicano in particolare, 'LA 895' (dove LA sta per lo stato della Louisiana).
Il documentario segue il percorso di 'LA 895' dal momento della cattura da parte della squadra di soccorso di Fort Jackson fino al suo rilascio. Un lavoro paziente di mesi, durante i quali il pellicano viene curato, lavato, nutrito e poi finalmente rimesso in liberta'. Purtroppo non tutti sono stati fortunati come 'LA 895', perche' il pellicano marrone spesso non sopravvive se allontanato dal suo habitat naturale. Grazie all'impegno dei volontari che hanno lavorato per mesi, sono stati salvati e rimessi in liberta' 1246 uccelli scongiurando cosi per il pellicano marrone il rischio di una nuova estinzione. Irene Taylor Brodsky e' una regista stimata negli Stati Uniti: nel 2009 aveva ottenuto una nomination all'Oscar per 'The Final Inch', mentre due anni prima il suo lungometraggio, 'Hear and Now', (2007) aveva vinto il premio del pubblico al Sundance Film Festival del cinema indipendente
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