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Messaggio del 03-09-2011 alle ore 16:28:24
E' stato appena pubblicato un libro nel quale si racconta la storia di Giulia, destinata allo stato vegetativo se fosse nata -secondo i medici-, cioè una situazione per loro incompatibile con una vita degna. Il dottore aveva già programmato un’operazione abortiva. «E’ bastato uno sguardo con Riccardo, mio marito, per decidere di portare avanti la gravidanza, anche se eravamo coscienti che non potevamo controllare quello che sarebbe successo», questa la risposta di Mariangela, la mamma di Giulia.

Giulia nasce, vive, cresce. Dopo il primo mese vengono fuori le difficoltà (il medico di certo non mentiva) e la bimba non si sviluppa come dovrebbe, rimane indietro, non si muove. Mariangela e Riccardo lavorano al Parlamento europeo a Bruxelles; non senza difficoltà – hanno raccontato – si sono decisi a chiedere aiuto agli amici. La parrocchia, i colleghi, i genitori dei compagni di scuola delle altre due figlie, gli amici degli amici: il semplice fatto che Giulia esistesse ha mobilitato un popolo che sembrava aspettare l’irrompere della vita per rinascere a sua volta.

Ora Giulia ha otto anni: non parla e non cammina, ma capisce due lingue e ha una memoria formidabile per i volti; gattona, si muove, piange, saluta, scia, prende il cibo dal frigo quando ha fame. Solo con un sotterfugio radicale ai danni della ragione si potrebbe affermare che non è vita

Poi i genitori hanno incontrato Bernard Dan, neuropsichiatra e Direttore de Höpital Universitaire Des Enfants Reine Fabiola, Bruxelles, ateo ma senza orgogli militanti. Intervistato dal quotidiano Il Foglio ha dichiarato: «Ormai siamo abituati a considerare la vita soltanto sulla base dell’efficienza delle performance, ma questo è un grave errore dal punto di vista scientifico: l’umano eccede i limiti di ciò che il soggetto è in grado di fare o non fare. C’è un grande errore nella nostra società, anche a livello scientifico: quello di considerare l’efficacia come sovrano criterio di giudizio». Fabio Cavallari (www.fabiocavallari.it), giornalista e scrittore, ha voluto descrivere questa storia nel suo libro: “Vivi: storie di donne e uomini più forti della malattia” (Lindau 2011). Lo scrittore ha detto: «Mariangela e Riccardo non sono degli eroi, ma persone che hanno avuto il coraggio “normale” di considerare la nascita come un evento positivo».

Loro davvero sono tutto il nostro amore, questi bimbi sono tutta la nostra vita

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