I libri di Marcorè, tv d'altro pianeta
L'inattualità di «Per un pugno di libri»
senza il rituale marzullesco sugli autori
A fil di rete
I libri di Marcorè, tv d'altro pianeta
L'inattualità di «Per un pugno di libri»
senza il rituale marzullesco sugli autori
Neri Marcorè
L'aspetto più istruttivo e apprezzabile di Per un pugno di libri è che, in studio, non sono presenti gli autori a reclamizzare la loro ultima fatica. Negli ultimi tempi, per giustificata impossibilità, non si sono visti Arthur Koestler, Charlotte Brontë, Friedrich Dürrenmatt, Raymond Chandler, Gabriel Garcia Marquez e altri ancora. Eppure hanno scritto libri molto belli, meritevoli di essere letti o riletti o, quanto meno, conosciuti. Senza quel rituale marzullesco («Ma che capolavoro che ha scritto!», «Come siamo onorati di averla qui», «Grazie di aver scelto noi per la presentazione del suo libro», ecc), che ridicolizza ormai ogni promozione televisiva di libri, dischi, programmi politici e altro.
Domenica pomeriggio, ad esempio, gli studenti presenti in studio si sono dovuti confrontare con Buio a mezzogiorno di Koestler: pochi romanzi hanno influenzato la coscienza politica del Novecento come questo libro che nel 1940 svelava il terrificante meccanismo dei processi staliniani in cui l'imputato si autoaccusava dei peggiori crimini, identificandosi spesso con l'inquisitore, con il carnefice.
L'altro aspetto che rende Per un pugno di libri, programma condotto da Neri Marcorè e Piero Dorfles, con la partecipazione di Giancarlo Ratti, un appuntamento gradevole e proficuo è la sua inattualità (Raitre, domenica, ore 18). Vedere due rappresentanze di studenti - il liceo scientifico Guglielmo Marconidi Cascia contro il liceo scientifico Ettore Majoranadi Scordia - che si scontrano a suon di libri è qualcosa che ancora meraviglia. Sembra di trovarsi di fronte a una porzione di tv che proviene da un altro pianeta, da un'altra epoca, da un'altra concezione del mezzo. Il dramma del protagonista di Buio a mezzogiorno è che si accorge della «logica contorta» e della «morale pervertita» in cui vive, ma non ha più modo di tornare indietro. Speriamo non sia così anche per la nostra tv.
Aldo Grasso