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piccole storie di televisione italiana
Messaggio del 12-01-2004 alle ore 13:48:20
gia...
Messaggio del 12-01-2004 alle ore 11:34:31
bello l'articolo.
Messaggio del 02-01-2004 alle ore 15:18:42
l'ho trovato su internet. L'articolo è di alessandra comazzi
Messaggio del 31-12-2003 alle ore 16:15:20
da dove l'hai presa sta cosa?
sembra un pezzo di un libro di un esame ke ho dato
Messaggio del 31-12-2003 alle ore 00:36:31
981. LA TRAGEDIA DI ALFREDINO RAMPI
Vermicino tutta l’Italia nel pozzo
Nasce la tv «impositiva», la vita si fa spettacolo
E un mese dopo 800 milioni di persone seguono in diretta
le nozze di Carlo e Diana

28 Luglio 2003

di Alessandra Comazzi

NEL giugno del 1981, esattamente il giorno 12, un venerdì, durante la più lunga diretta della storia della televisione italiana, diciotto ore consecutive, trenta milioni di spettatori seguono l'agonia e la morte di un bambino di nove anni, Alfredo Rampi, che a Vermicino, piccolo centro vicino a Roma, è caduto in un pozzo fangoso, profondissimo e largo soltanto 28 centimetri. I ripetuti tentativi di salvarlo, l'intervento dei vigili del fuoco, degli speleologi, dei volontari, l'arrivo angosciato del presidente della Repubblica Sandro Pertini, il progressivo affievolirsi e il definitivo spegnersi della voce del bambino tengono incollati al piccolo schermo l'intero paese: una media di 12 milioni di telespettatori dalle 14 alle 19,45; una media di 28 milioni di telespettatori dalle 19,45 a mezzanotte. La trasmissione va in onda a reti unificate, primo e secondo canale (come allora si chiamavano) insieme.

Sono ore di strazio e di emotività parossistica. Intorno a quella pozza scura di terra si infrangono intenzioni e volontà. Fanno male le immagini, sempre più gente intorno all’orrore scavato nella terra, fanno male le voci. Le voci a lutto dei telecronisti, da Emilio Fede a Piero Badaloni, le voci dei soccorritori sempre più concitate: su tutte, la voce di Alfredo che invoca la mamma resta nella memoria nazionale come una registrazione tangibile di sconfitta. Viene calato in quell’inferno di terra e fango anche un uomo piccolissimo, minuto, che arriva a sfiorare il bambino, ad afferrargli una mano: ma poi la presa gli sfugge, scivolosa come la speranza. La tv mostrò generosità e improvvisazione, scavando minuto dopo minuto nel dolore di una famiglia e nel fallimento di un salvataggio che all’inizio del dramma pareva facile.

Fu cronaca o speculazione? Grande dibattito, per l'intera estate. La tragedia si trasformò in spettacolo della tragedia, che Furio Colombo definì «il gioco dell'orrore». Sta di fatto che, nelle lunghissime ore di diretta, quello e soltanto quell'episodio «esisteva», in quanto rappresentato e minuziosamente ripreso dalla televisione. Sempre nell'81, sempre in giugno, quasi in contemporanea con la tragedia di Vermicino, altri due bambini, in Sicilia, morirono dopo essere caduti in un pozzo. Ma la televisione là non era arrivata, e quei due episodi altrettanto spaventosi, ebbero un rilievo di cronaca prettamente locale.
Quella data, 12 giugno 1981, sancisce l'inizio ufficiale di una nuova era televisiva, l'era della tv «impositiva». Dopo la perdita del monopolio da parte della Rai, la concorrenza irrompe sui piccoli schermi. Le trasmissioni si moltiplicano, la durata della programmazione copre l'intera giornata, il pubblico può spaziare tra un numero sempre maggiore di proposte. Non più, quindi, soltanto il primo e il secondo canale tra cui scegliere; e per scegliere e cambiare canale, non più la fatica di alzarsi ogni volta dalla poltrona per andare a premere un tasto. Perché nel frattempo è stato inventato il telecomando, presto diventato strumento di potere familiare. Non a caso Renzo Arbore in La vita è tutta un quiz, sigla del suo programma Indietro tutta, canta «Tu nella vita comandi fino a quando hai stretto in pugno il tuo telecomando».

Attirare l'attenzione del pubblico diventa più difficile e nello stesso tempo più importante, essendo il pubblico il cliente cui vendere i prodotti: per farlo, è necessario uscire dai confini ben delineati del recente passato, non servono programmi nuovi, bisogna farsi sentire, bisogna farsi ascoltare. Le reti cominciano ad essere ossessionate dagli ascolti. Rai e televisioni commerciali «stanno sul mercato» e hanno necessità di imporsi. E si impongono. Vermicino segna l'inizio della tv del dolore, della lacrima, della rissa, dell'aggressività, delle urla, della prepotenza.

I passaggi sul piccolo schermo cominciano a fornire quella che si può chiamare «prova di esistenza». E' come se un avvenimento, una notizia, una situazione, persino una persona fisica, diventino reali soltanto nel momento in cui vengono visti in televisione. Quello che accade in video, che si afferma in video, non è più vero, come fino a poco tempo prima, «perché lo dice la televisione», ma si trasforma in realtà proprio perché «è» in televisione. Alcuni intellettuali, come Giuliano Ferrara, spingono la leva della provocazione, teorizzando la «tv spazzatura» come quintessenza del mezzo. Oltre a fornire la «prova d'esistenza», la tv regala anche una popolarità immediata. Chi è transitato una volta sul video, si vede il giorno dopo riconosciuto, fatto oggetto di attenzione. Se uomo comune, viene festeggiato dagli amici del Bar Sport; se uomo di spettacolo, richiama pubblico; se uomo politico, ottiene risultati ben maggiori rispetto a quelli di un tradizionale comizio. I programmi cominciano ad essere meno costruiti, basandosi sulla partecipazione del pubblico da una parte, degli «ospiti illustri» dall'altra. La necessità di imporsi è una caratteristica che si diffonde nei diversi generi di trasmissioni: nell'informazione ma anche nei varietà.

Il concetto che in quell'inizio degli Anni Ottanta comincia a passare è quello di una tv taumaturga che può risolvere i problemi della vita quotidiana, che può arrivare là dove tutti gli altri percorsi, soprattutto quelli ufficiali, istituzionali, non possono arrivare. Si «spettacolarizza» la realtà. E Vermicino è il tragico snodo di tutto.

La vita comune diventa dunque protagonista: non a caso, quell'anno, vince l'Oscar come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura Ordinary people, Gente comune per l'appunto, primo film da regista di Robert Redford. A Venezia il Leone d'oro è per Anni di piombo di Margarethe von Trotta, in America comincia la saga di Indiana Jones: Harrison Ford riporta il divismo a livelli parossistici, dovunque vada a presentare I predatori dell'arca perduta di Steven Spielberg, è un colossale assedio dei fan. In Italia, Massimo Troisi conquista gli schermi con il suo sghembo linguaggio napoletano di Ricomincio da tre («tre cose buone nella vita le avrò fatte, no? E allora ricomincio da tre»). Quell'anno, muoiono Eugenio Montale, Bob Marley, il cantautore proto-demenziale Rino Gaetano, esce Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcia Marquez, la Juventus vince lo scudetto, Alice con Per Elisa si aggiudica il Festival di Sanremo, seconda è Loretta Goggi con Maledetta primavera. Si segnala Orietta Berti, che ormai sostiene E la barca non va più. In luglio, Giovanni Spadolini forma il suo nuovo governo. Esplode il caso P2, la loggia massonica sommersa di cui vengono divulgati gli elenchi. Sconquasso politico ed economico, sempre in luglio i titoli si ribassano del venti per cento, la Borsa chiude per sei giorni. Il 29, ancora di luglio, si sposano Carlo d'Inghilterra e Lady Diana Spencer. Diretta televisiva mondiale, 800 milioni di spettatori, i telecronisti italiani sono Sandro Paternostro e Bianca Maria Piccinino. Dalla tragedia di un bambino al matrimonio di due giovani inconsapevoli del loro destino, il cerchio si chiude: la realtà, sia pure filtrata dalla telecamera, è diventata il vero spettacolo, della tivù e del mondo.

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