Musica
Mogol: basta ipocrisie su Povia
Messaggio del 15-06-2009 alle ore 20:04:17
Mogol: basta ipocrisie sulla canzone
di Povia (la migliore dell'anno)
L'autore più noto d'Italia premia il pezzo che all'ultimo Festival di Sanremo ha provocato tante liti
Povia (Ansa)
Mogol, stasera a Bard, in Val d’Aosta, si assegna il premio che porta il suo nome. I finalisti sono Arisa, Battiato, Capossela, Jovanotti, Simona Molinari, Povia. Chi vince?
«La giuria composta da Marcello Veneziani, Oliviero Beha, Arnaldo Colasanti e da me ha scelto Giuseppe Povia».
E la canzone?
«Luca era gay».
Quella di Sanremo e delle polemiche?
«Lo so, qualche amico mi ha messo sull’avviso: 'Ti attaccheranno, non sarebbe meglio un ex aequo?'. Ma un premio che porta il mio nome devo assegnarlo secondo coscienza, senza lasciarmi condizionare dalle invettive».
Come mai quella canzone le è piaciuta tanto?
«Perché racconta un fatto di vita, usando la prima persona. È un testo sincero, senza retorica: una poesia che non nasce dall’ispirazione talentuosa ma dall’esposizione di una verità quotidiana. Povia ha intinto la penna in un inchiostro molto simile al sangue».
Gli omosessuali però si sono sentiti offesi...
«Non capisco perché. Non è un testo universale, non enuncia una legge; racconta una storia. La storia di un ragazzo che cercava il padre e non voleva tradire la madre. Povia parla di una vita, al di là di ogni dogma».
La sua vita? E’ un testo autobiografico?
«Non lo so, e non è importante. È scritto come se lo fosse. Se non lo è, il suo merito è ancora più grande. Perché suona come vero, non come artificio. Non conta quel che è stato, ma quel che è scritto».
Però l’omosessualità è presentata come una sorta di disgrazia da cui si può uscire.
«Io la canzone non l’ho letta così. Assolutamente. Si può essere omosessuali per molti motivi: perché lo si è nati, o perché lo si è diventati per influenze esterne; così come ci sono donne che restano frigide tutta la vita per un trauma infantile. Se un eterosessuale diventa gay, non c’è colpa. Perché dovrebbe esserci se un gay diventa eterosessuale? L’autore non giudica. E poi la sua libertà va difesa. Capitò anche a me: ricorda 'Il tempo di morire'?».
«Motocicletta/ dieci hp/ tutta cromata/ è tua se dici sì...».
«Lui offriva a lei il suo bene più prezioso, la moto nuova, per una notte d’amore. Le femministe si infuriarono. Ma Battisti e io raccontavamo una storia: il protagonista era sincero, e noi liberi. Ricorda 'Il mio canto libero'?».
«In un mondo che/ non ci vuole più/ il mio canto libero/ sei tu...». Era un rifiuto degli Anni 70, dell’ideologia?
«Certo: i 'retaggi del passato'. L’Italia di allora era una società conformista. E c’è una coppia che si ribella alle convenzioni e rivendica i diritti dell’individuo, della persona, dell’amore».
Sì, ma da qui a Povia...
«Guardi, abbiamo selezionato altre grandi canzoni: 'Tutto l’universo obbedisce all’amore' di Battiato, 'A te' di Jovanotti, che peraltro ha vinto l’anno scorso con 'Fango'. Ma 'Luca era gay' è l’unica che mi ha chiuso la gola. Che mi ha commosso».
Come mai?
«Per la sua disarmante naturalezza, la sua grande innocenza, l’assenza di sensi di colpa. Gli altri erano bei testi, ma quello di Povia ha qualcosa in più».
Esiste una lobby gay nel mondo dello spettacolo?
«Ma no. Esistono molti omosessuali, più di quanti se ne conoscano. Persone sensibili, grandi artisti».
Lei di recente ha denunciato la crisi della canzone italiana.
«Rischiamo di perdere la cultura popolare. L’industria discografica boccheggia, priva com’è di mezzi. Si danno dischi d’oro o di platino per 30 o 40 mila copie. E non c’è meritocrazia. Non si selezionano le cose belle. Qui in Umbria abbiamo aperto una scuola, i ragazzi fanno un lavoro serio, ma sono schiacciati dal potere enorme degli show tv. Al massimo uno di loro ha un’occasione ogni 5 o 10 anni. Come Arisa».
Cosa pensa di «Amici», la trasmissione di Maria de Filippi?
«Non so, non ho visto. Se avvicina lo spettacolo e l’arte alla gente comune, non ha una funzione negativa».
«X Factor»?
«Ci sono stato. Mara Maionchi è una donna eccezionale, Morgan e Francesco Facchinetti sono molto bravi, l’atmosfera è bella. Ma è tutto un po’ dilettantesco. Tv, più che musica».
Marco Carta, il vincitore di Sanremo?
«Un cantante molto tradizionale, che non credo abbia ascoltato tutto Dylan. L’attualità, la cultura sono importanti per un artista. Uno come Vasco Rossi non è solo un cantante, è un comunicatore».
A proposito di comunicatori: come mai Celentano si è offeso con lei?
«Si è offeso per una canzone affettuosa, in cui lo invitavo a tornare tra noi: gli amici che gli vogliono bene, la gente che vorrebbe altri suoi concerti. Ci sono rimasto molto male. Adriano e io siamo nati negli stessi anni, siamo cresciuti negli stessi posti: la periferia di Milano, che ora è diventata centro; lui aveva i suoi prati, io i miei. Una reazione simile me la spiego solo con un condizionamento esterno. Ma non mi faccia dire altro. Non voglio riaprire la polemica».
Anche la Bertè ce l’ha con lei. Sostiene che Mogol non l’ha mai potuta soffrire, al punto da far togliere il suo nome come corista di Battisti.
«Io non ho mai avuto nulla contro la Bertè, e lo può testimoniare il mio caro amico Maurizio Lavezzi, che è stato a lungo il compagno di Loredana. E non posso aver fatto togliere il suo nome, perché la Bertè non è mai stata corista di Battisti».
Le sue antenne cosa le dicono sull’Italia di oggi?
«Viviamo un momento faticoso. Servirebbero le energie migliori di entrambi gli schieramenti per venirne fuori. Gli italiani se lo attendono, ma temo che il momento sia ancora lontano. Trent’anni fa scrissi: 'Sogno il mio Paese infine dignitoso, non più preda di facili entusiasmi e ideologie alla moda'. Lo sottoscrivo ancora oggi».
Aldo Cazzullo
15 giugno 2009
Mogol: basta ipocrisie sulla canzone
di Povia (la migliore dell'anno)
L'autore più noto d'Italia premia il pezzo che all'ultimo Festival di Sanremo ha provocato tante liti
Povia (Ansa)
Mogol, stasera a Bard, in Val d’Aosta, si assegna il premio che porta il suo nome. I finalisti sono Arisa, Battiato, Capossela, Jovanotti, Simona Molinari, Povia. Chi vince?
«La giuria composta da Marcello Veneziani, Oliviero Beha, Arnaldo Colasanti e da me ha scelto Giuseppe Povia».
E la canzone?
«Luca era gay».
Quella di Sanremo e delle polemiche?
«Lo so, qualche amico mi ha messo sull’avviso: 'Ti attaccheranno, non sarebbe meglio un ex aequo?'. Ma un premio che porta il mio nome devo assegnarlo secondo coscienza, senza lasciarmi condizionare dalle invettive».
Come mai quella canzone le è piaciuta tanto?
«Perché racconta un fatto di vita, usando la prima persona. È un testo sincero, senza retorica: una poesia che non nasce dall’ispirazione talentuosa ma dall’esposizione di una verità quotidiana. Povia ha intinto la penna in un inchiostro molto simile al sangue».
Gli omosessuali però si sono sentiti offesi...
«Non capisco perché. Non è un testo universale, non enuncia una legge; racconta una storia. La storia di un ragazzo che cercava il padre e non voleva tradire la madre. Povia parla di una vita, al di là di ogni dogma».
La sua vita? E’ un testo autobiografico?
«Non lo so, e non è importante. È scritto come se lo fosse. Se non lo è, il suo merito è ancora più grande. Perché suona come vero, non come artificio. Non conta quel che è stato, ma quel che è scritto».
Però l’omosessualità è presentata come una sorta di disgrazia da cui si può uscire.
«Io la canzone non l’ho letta così. Assolutamente. Si può essere omosessuali per molti motivi: perché lo si è nati, o perché lo si è diventati per influenze esterne; così come ci sono donne che restano frigide tutta la vita per un trauma infantile. Se un eterosessuale diventa gay, non c’è colpa. Perché dovrebbe esserci se un gay diventa eterosessuale? L’autore non giudica. E poi la sua libertà va difesa. Capitò anche a me: ricorda 'Il tempo di morire'?».
«Motocicletta/ dieci hp/ tutta cromata/ è tua se dici sì...».
«Lui offriva a lei il suo bene più prezioso, la moto nuova, per una notte d’amore. Le femministe si infuriarono. Ma Battisti e io raccontavamo una storia: il protagonista era sincero, e noi liberi. Ricorda 'Il mio canto libero'?».
«In un mondo che/ non ci vuole più/ il mio canto libero/ sei tu...». Era un rifiuto degli Anni 70, dell’ideologia?
«Certo: i 'retaggi del passato'. L’Italia di allora era una società conformista. E c’è una coppia che si ribella alle convenzioni e rivendica i diritti dell’individuo, della persona, dell’amore».
Sì, ma da qui a Povia...
«Guardi, abbiamo selezionato altre grandi canzoni: 'Tutto l’universo obbedisce all’amore' di Battiato, 'A te' di Jovanotti, che peraltro ha vinto l’anno scorso con 'Fango'. Ma 'Luca era gay' è l’unica che mi ha chiuso la gola. Che mi ha commosso».
Come mai?
«Per la sua disarmante naturalezza, la sua grande innocenza, l’assenza di sensi di colpa. Gli altri erano bei testi, ma quello di Povia ha qualcosa in più».
Esiste una lobby gay nel mondo dello spettacolo?
«Ma no. Esistono molti omosessuali, più di quanti se ne conoscano. Persone sensibili, grandi artisti».
Lei di recente ha denunciato la crisi della canzone italiana.
«Rischiamo di perdere la cultura popolare. L’industria discografica boccheggia, priva com’è di mezzi. Si danno dischi d’oro o di platino per 30 o 40 mila copie. E non c’è meritocrazia. Non si selezionano le cose belle. Qui in Umbria abbiamo aperto una scuola, i ragazzi fanno un lavoro serio, ma sono schiacciati dal potere enorme degli show tv. Al massimo uno di loro ha un’occasione ogni 5 o 10 anni. Come Arisa».
Cosa pensa di «Amici», la trasmissione di Maria de Filippi?
«Non so, non ho visto. Se avvicina lo spettacolo e l’arte alla gente comune, non ha una funzione negativa».
«X Factor»?
«Ci sono stato. Mara Maionchi è una donna eccezionale, Morgan e Francesco Facchinetti sono molto bravi, l’atmosfera è bella. Ma è tutto un po’ dilettantesco. Tv, più che musica».
Marco Carta, il vincitore di Sanremo?
«Un cantante molto tradizionale, che non credo abbia ascoltato tutto Dylan. L’attualità, la cultura sono importanti per un artista. Uno come Vasco Rossi non è solo un cantante, è un comunicatore».
A proposito di comunicatori: come mai Celentano si è offeso con lei?
«Si è offeso per una canzone affettuosa, in cui lo invitavo a tornare tra noi: gli amici che gli vogliono bene, la gente che vorrebbe altri suoi concerti. Ci sono rimasto molto male. Adriano e io siamo nati negli stessi anni, siamo cresciuti negli stessi posti: la periferia di Milano, che ora è diventata centro; lui aveva i suoi prati, io i miei. Una reazione simile me la spiego solo con un condizionamento esterno. Ma non mi faccia dire altro. Non voglio riaprire la polemica».
Anche la Bertè ce l’ha con lei. Sostiene che Mogol non l’ha mai potuta soffrire, al punto da far togliere il suo nome come corista di Battisti.
«Io non ho mai avuto nulla contro la Bertè, e lo può testimoniare il mio caro amico Maurizio Lavezzi, che è stato a lungo il compagno di Loredana. E non posso aver fatto togliere il suo nome, perché la Bertè non è mai stata corista di Battisti».
Le sue antenne cosa le dicono sull’Italia di oggi?
«Viviamo un momento faticoso. Servirebbero le energie migliori di entrambi gli schieramenti per venirne fuori. Gli italiani se lo attendono, ma temo che il momento sia ancora lontano. Trent’anni fa scrissi: 'Sogno il mio Paese infine dignitoso, non più preda di facili entusiasmi e ideologie alla moda'. Lo sottoscrivo ancora oggi».
Aldo Cazzullo
15 giugno 2009
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