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Per chi si intende di basket
Messaggio del 11-04-2004 alle ore 04:40:04
Ultimamente guardando qualche partita dell' nba ma anche dell' ncaa ho sentito diverse volte parlare del Princeton Offence, chi di voi sa spiegarmi che vuol dire???
Messaggio del 11-04-2004 alle ore 17:41:49
semplicemente è un tipo di attacco di squadra
Messaggio del 11-04-2004 alle ore 21:00:01
Si ma in cosa consiste...qualche schema particolare, bho che ne sò
Messaggio del 12-04-2004 alle ore 00:05:33
boh
Messaggio del 12-04-2004 alle ore 00:19:26
Lascia stare il basket... troppo complicato per un giocatore di calcio come te!!!
Messaggio del 12-04-2004 alle ore 03:04:00
http://msn.espn.go.com/ncb/2003/0304/1517990.html

qui trovi tutto, ma è in inglese
Messaggio del 12-04-2004 alle ore 03:56:46
La Princeton Offense è stata inventata da Pete Carril, attuale vice di Rick Adelman ai Kings, il coach più vincente della storia della Ivy League, con 13 successi di conference e 11 partecipazioni al torneo Ncaa, l’unico ad aver raggiunto più di 500 vittorie in carriera (525), pur allenando in un’università che non prevede borse di studio per atleti.

Nel 1996, Pete Carril ottenne la sua ultima vittoria da coach di Princeton, eliminando sorprendentemente UCLA al primo turno del torneo Ncaa. L’azione decisiva, chiamata dal coach a 3.8 dalla fine, fu un back door, il movimento più classico e riconoscibile del suo sistema d’attacco.

La Princeton Offense fu creata per sfruttare gli atleti a disposizione del suo creatore: bianchi, non grandi atleti, con ottimi fondamentali e con quoziente intellettivo generale, degno di una delle università più selettive d’America.
Per meglio comprendere gli schemi li tareremo su quello che, al giorno d’oggi, vediamo fare dai Sacramento Kings, anche se probabilmente persino Carril, non poteva immaginarsi nulla di simile, nel momento in cui li mise a punto.

Il primo punto fondamentale della Princeton è la conquista della posizione cosiddetta del gomito, al prolungamento della linea di tiro di libero. Il centro deve essere in grado di correre in transizione e conquistare quello “spot” perché, secondo punto fondamentale, sono preferibilmente i centri, nella Princeton, a gestire il gioco.

Se questo non avviene, la squadra si deve disporre in un allineamento in cui il pivot prende il post basso e le ali devono avere la miglior posizione per palleggiare sino al gomito.

Una volta posizionati, il giocatore in punta, Bibby ad esempio, passa la palla su un lato all’ala, Stojakovic, taglia verso il canestro, ed esce dalla parte opposta. L’altro esterno, Christie, deve rimpiazzare lo spazio lasciato libero da Bibby e l’intera squadra deve ruotare di conseguenza.
Ogni giocatore nella sua posizione deve sempre poter passare palla, giocare uno contro uno, oppure tirare. Un attacco eseguito al meglio fa in modo che la spaziatura fra i giocatori permetta tutte queste cose.

Altro esempio tipico: il gioco a due fra il pivot e l’ala. Quest’ultima passa la palla al centro, sia esso in posizione di post alto o basso. Si avvicina al pivot e poi esce per tirare sul passaggio di ritorno. E’ un cosiddetto movimento di “pick n fade” che Stojakovic e Divac eseguono perfettamente.

Da questo quadro si desume come le qualità richieste da questo sistema siano ottima tecnica di base, abilità nel passaggio e visione periferica. Quest’ultima è particolarmente importante per i già citati tagli back door.
Essi rappresentano la vera essenza di questo attacco. L’antidoto a marcature molto fisiche basate sull’anticipo e la negazione delle linee di passaggio.

Consideriamo la situazione precedente: il centro è in post basso. L’ala con la palla, palleggia verso il gomito. Se il difensore della guardia, che si trova in punta, sta anticipando forte negando il passaggio, la guardia, in teoria Christie deve approfittarne a partire verso il canestro. Il contatto visivo fra chi esegue e chi riceve il passaggio deve essere immediato. L’esecuzione fulminea.

Lo stesso gioco può essere eseguito dai due lunghi: il centro, Divac, si trova in post basso fronte a canestro. Christie sul lato debole si allontana e si mette nell’angolo dietro la linea da tre. L’ala grande taglia verso il gomito, anticipato dal difensore. Di nuovo c’è la possibilità del back door.

E’ interessante notare come la grande parte di questi movimenti vengono eseguiti fra 3-5 metri dal canestro. In netta contro tendenza con quella che è stata l’evoluzione del gioco degli ultimi anni. O meglio con l’evoluzione dettata dal mutamento delle caratteristiche dei giocatori.

Il cosiddetto “in between game” è il concetto maggiormente tenuto in considerazione. Al contrario, sempre più spesso, sui campi della NBA si vedono squadre che sembrano spezzate in 2: post basso e tiro da tre.

L’ultima caratteristica richiesta è il movimento senza la palla. Prova ne sia la particolare interpretazione del gioco alto basso previsto dalla Princeton.
Consideriamo il pivot con la palla in mano al gomito su di un lato del campo. Sul lato debole l’ala grande taglia verso il canestro, sfruttando a metà della linea percorsa il blocco della guardia. Il pivot a quel punto ha due opzioni: il passaggio sotto per il lungo, la riapertura per la guardia che, una volta bloccato si apre sulla linea da tre.

Sarebbe divertente chiedere a Pete Carril se, nel momento in cui creava il suo sistema, immaginava che a giocarlo fossero atleti come quelli che allena ora. Sempre che Yoda, soprannome del coach, abbia voglia, col suo caratteraccio di rispondere.

Proverbiale infatti la sua scarsa disponibilità sull’argomento. Tanto che non esiste un vero e proprio manuale di codifica del sistema. Diverso discorso vale per Tex Winter che da subito ha messo su carta schemi ed esercizi per insegnare il triangolo.

Chi ha voluto capire e insegnare la Princeton ha prima dovuto decrittarla ed impararla in maniera del tutto empirica, in base all’esperienza.
Attualmente sono due nella Nba, oltre ai Kings, le squadre della Nba che la applicano: New Jersey e Washington. Gli esempi più conosciuti nel college sono North carolina State, Northwestern, Air Force, oltrechè ovviamente Princeton University.

Nel suo ultimo libro, Phil Jackson parla di come il sistema di gioco sia un filo conduttore che lega gli allenatori ai loro giocatori che a loro volta lo insegneranno. In questo modo il gioco si tramanda e le radici rimangono comuni. Questo è un valore comune molto più importante, che va oltra l’adozione stessa di un sistema dell’altro. E’ un’implicita dichiarazione d’amore per il gioco.


P.S.: vorrei precisare che ho preso questo articolo dal sito italiano www.playitusa.com
Messaggio del 12-04-2004 alle ore 20:56:32
Grazie mucca "sei stato chiaro!!!" direbbe Dan Peterson

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