Ghino di Tacco
Il motivo dell’attività di briganti va ricercato probabilmente nella rendita, ovvero il prelievo della ricchezza terriera esercitato dalla Chiesa senese a favore dello Stato Pontificio, tassa ritenuta eccessiva dai nobiluomini ghibellini della Fratta dei Cacciaconti.
Ghino fuggì, occupando la ritenuta impenetrabile fortezza di Radicofani, sempre in territorio senese, ma al confine con lo Stato Pontificio. Qui, infatti, Ghino si inserì nella lotta per il possesso della rocca, che poi conquistò facendone il proprio covo. Dal colle di Radicofani, Ghino continuò le sue scorribande, concentrandosi sui viandanti che passavano nella sottostante via Francigena, fondamentale via di comunicazione usata dai pellegrini in viaggio verso Roma.
Ghino compiva delle imboscate ai viaggiatori, si informava dei loro beni veri, poi li derubava quasi completamente, però lasciando loro di che sopravvivere, ed offrendo loro un banchetto. Per questo motivo e perché lasciava liberi di proseguire sia i poveri che gli studenti, Ghino di Tacco fu considerato un ladro gentiluomo, una sorta di Robin Hood ante litteram.
Al comando di quattrocento uomini e armato di una picca, Ghino entrò nel tribunale papale nel Campidoglio e decapitò il giudice Benincasa(che aveva condannato a morte suo padre), infilando poi la testa sulla picca e portandosela nella rocca di Radicofani, dove a lungo ne espose lo scalpo appeso al torrione.
Compiuto questo macabro ma teatrale gesto, Ghino tornò a compiere scorribande in val d’Orcia, continuando ad alimentare attorno a sé un alone leggendario di fiero ed imbattibile guerriero.